Nessuna attività “in autonomia”, nessuna comunicazione “solo a operazioni avvenute” come ha detto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi nella sua informativa al Parlamento sui flussi di migranti e sull’attività delle ong nel Mediterraneo. “Di fronte al Parlamento il ministro ha detto cose false“, ha dichiarato a ilfattoquotidiano.it Juan Matias Gil, capomissione di Medici Senza Frontiere, assicurando che la nave Geo Barents ha comunicato tutto fin dalle prime fasi di ogni singolo soccorso e che è tutto documentato. A pochi giorni di distanza da quella intervista ecco le mail della nave ai Centri di coordinamento di soccorso marittimo di Malta, Italia e Norvegia, paese di bandiera dell’imbarcazione, che confermano quanto sempre sostenuto dalle ong. Ma soprattutto che il governo ha detto il falso, negando di aver ricevuto informazioni che aveva fin dal momento in cui è arrivato l’allarme di imbarcazione in pericolo. La ricostruzione di Piantedosi è funzionale alle accuse mosse dall’esecutivo alle organizzazioni umanitarie e alla richiesta all’Unione europea di un codice di condotta per le loro operazioni di soccorso, che per il Viminale non rispetterebbero le regole. A non rispettare le regole sembra invece essere il governo. Dalla violazione dell’obbligo imposto dalla normativa internazionale a quello di dire la verità di fronte al Parlamento italiano.
“Abbiamo ricevuto un allarme da un’imbarcazione in mare”, scrive Alarm Phone alle 16:25 di giovedì 27 ottobre al centro di coordinamento per il soccorso marittimo (MRCC) di Malta, Stato competente per la zona di mare SAR (search and rescue) in cui è localizzata l’imbarcazione in pericolo, e al centro per il soccorso dell’Italia (itmrcc@mit.gov.it). In copia l’Unhcr e una serie di ong, tra cui Medici Senza Frontiere la cui nave Geo Barents si trova in acque SAR maltesi. Seguono le informazioni ricevute da Alarm Phone sul numero di persone, la posizione e le condizioni dell’imbarcazione. Trovandosi nell’area, il comandante della Geo Barents invia una prima mail agli Stati costieri per segnalare la disponibilità e la capacità a intervenire, insieme alla richiesta di essere coordinati. La mail è indirizzata al centro di Malta, mentre in copia ci sono Italia e Norvegia, Stato di bandiera della nave, sempre messo in copia per conoscenza. “Possiamo prestare assistenza, se richiesto”, scrive la Geo Barents a Malta e Italia. Nessuna autonomia, come sostiene Piantedosi. Piuttosto, richieste che rimarranno senza risposta.
Secondo la Convenzione internazionale SAR sono gli Stati a dover coordinare ricerca e soccorso, perché unici ad avere strumenti e autorità per guidare le operazioni e assicurare che si concludano nel minor tempo possibile e in un porto sicuro. “Ma nel 99 per cento dei casi non risponde nessuno“, spiega il capomissione di Msf. Così è anche per il salvataggio ricostruito dalle mail, rese pubbliche dalla ong “sperando di contribuire alla corretta ricostruzione dei fatti”. E in un breve comunicato aggiunge: “Questo soccorso è stato scelto come esempio per rappresentare tutti gli altri salvataggi per i quali sono state applicate le stesse procedure. Come potrete vedere, le autorità italiane, maltesi e dello stato di bandiera sono sempre informate sulle attività a bordo”. E’ bene sapere che il silenzio di Malta non solleva gli altri Stati dall’obbligo di cooperare e, nel caso, coordinare i soccorsi e condurli al porto raggiungibile “nel più breve tempo ragionevolmente possibile”, dicono le norme ribadite ormai da molte sentenze. “Ma sapendo che i maltesi stanno zitti, anche l’Italia rimane in silenzio”, ha spiegato Gil di Msf. Un silenzio che può mettere a repentaglio i soccorsi perché potrebbe esserci una nave più vicina, ad esempio. Ma senza le autorità costiere nessun coordinamento è possibile.
Al comandante della Geo Barents non resta che proseguire verso il luogo indicato dall’allarme. E continuare a inviare a tutti le informazioni in suo possesso sperando di ricevere indicazioni. Arrivata sul posto, la nave invia una nuova mail, con una prima valutazione della scena e annunciando di essere pronta a mettere in mare le lance. Di seguito si cita la normativa che impone di prestare soccorso e assistenza e si conferma la capacità della nave a portare a termine l’operazione, a prestare assistenza sanitaria e a condurre le persone in un luogo sicuro (place of safety, POS). Infine chiede ai destinatari di confermare di aver ricevuto il messaggio. Ma inutilmente. Segue altra comunicazione, che riporta quanto verificato dalle lance, compresa la presenza di bambini piccoli e di una persona malata su una imbarcazione in vetro resina sovraffollata. “Non abbiamo ricevuto alcuna istruzione da Malta”, si legge. “Attendiamo vostre istruzioni“. Ancora silenzio. A questo punto le persone vengono soccorse. I dettagli e un report saranno il contenuto di un’ulteriore mail inviata ai soliti destinatari.
Al termine di ogni salvataggio “viene inviata la richiesta di un porto sicuro, finché dopo l’ennesimo salvataggio non abbiamo più posto e allora la richiesta del place of safety resta l’unica comunicazione che continuiamo a inviare a tutti”. Compreso, per conoscenza, lo Stato di bandiera che in questo caso è la Norvegia. Alla quale, riporta Piantedosi in Parlamento, si rivolge anche il nostro ministero degli Esteri per chiedere proprio quelle informazioni che le navi assicurano di aver inviato e il Viminale nega di ricevere. Non solo, alla Norvegia l’Italia chiederà anche di avanzare la richiesta del porto sicuro: “La richiesta di un POS in territorio italiano avrebbe dovuto essere inviata alle autorità italiane dallo Stato di bandiera delle navi ONG, e non da queste ultime, come è invece avvenuto”, sostiene Piantedosi. Ma dalla Norvegia, come dalla Germania per la Humanity 1 arriva solo un secco no e il monito di rispettare il diritto del mare.
Diritto che l’Italia non ha rispettato, sottraendosi all’obbligo di cooperare perché i soccorsi in mare vadano a buon fine. Eppure il governo continua a ripetere di muoversi nel rispetto delle regole. Anzi, sarebbero le ong e le loro navi a non rispettarle, tanto da agire “senza ricevere indicazioni dalle autorità statali responsabili delle predette aree (SAR), informate, al pari dell’Italia, solo a operazioni avvenute“. Parole pronunciate il 16 novembre di fronte al Senato e alla Camera dal ministro dell’Interno, che i documenti forniti dalle ong provano non essere vere. Sicuramente utili all’obiettivo di operare una stretta sulle operazioni di soccorso in mare, questione che Piantedosi porterà al Consiglio Ue dei ministri dell’Interno il prossimo 25 novembre. Ma adesso sarà più difficile ribattere a chi, come hanno fatto Francia, Germania e Spagna, oltre alla Commissione Ue, chiede all’Italia di rispettare le regole. Cosa che non fa nemmeno quando, dopo una settimana di mancate risposte alle mail che il ministro nega di aver ricevuto, la Geo Barents chiede un porto sicuro.
“Fino al 29 ottobre abbiamo chiesto un porto a Malta”. Che romperà il silenzio solo per negare ogni responsabilità e scaricare la richiesta di porto sicuro alla Norvegia, tanto lontana che a Sud è bagnata dal Mare del Nord. Una strategia che adotta anche l’Italia, come si è visto. Al suo Stato di bandiera, come dimostrano le mail pubblicate, la nave chiederà di mediare con gli altri Paesi. “Respinti da Malta, il 31 ottobre ci spostiamo in zona SAR italiana e inviamo la prima richiesta di POS all’Italia, che risponde con un semplice “la sua richiesta è stata inoltrata all’autorità competente”, riferisce il capomissione. “La risposta sarà la stessa per le successive otto richieste”. Poi, sabato 5 novembre la Geo Barents chiede all’Italia il permesso di riparare a causa del cattivo tempo. “E domenica ci hanno mandato il decreto ministeriale che ci permetteva il solo sbarco selettivo delle persone più vulnerabili e di fermarci lo stretto tempo necessario”, racconta Msf al Fatto. Decreto già al vaglio della magistratura amministrativa, debole dal punto di vista giuridico, ma soprattutto motivato con il mancato rispetto delle regole da parte della ong, secondo la ricostruzione di Piantedosi. Una ricostruzione falsa.