Rientrando in questi giorni da Parigi, dopo l’immersione in Paris Photo e in tutto il turbinio di eventi collaterali, affiorano in maniera quasi naturale alcune considerazioni in relazione alla situazione italiana.

Non vogliamo nemmeno provare a fare paragoni e a pesare la presenza della fotografia nei due Paesi: sarebbe da ingenui e incompetenti non considerare l’abisso storico in tal senso. Noi abbiamo già il Rinascimento, e il neo-ministro alla cultura ha sorpreso tutti per originalità d’intenti quando, appena nominato, ha dichiarato che la sua priorità sarà valorizzare… Dante e Leopardi.

La Francia rivendica la fotografia come sua invenzione, poi “generosamente” regalata al mondo, e fedele a questo assunto la insegna nelle scuole (noi no), considera i suoi grandi fotografi veri monumenti della cultura (noi no), sorveglia che il livello delle proposte e degli eventi sia sempre di qualità (noi no), supporta finanziariamente le iniziative valide (noi no), sostiene la crescita dei nuovi talenti (noi no), ha un dipartimento specificamente dedicato presso il ministero della cultura (noi ci abbiamo provato e tutto è naufragato). Ciò nonostante, anche in Italia si registra un interesse crescente per la fotografia (che è vivissima, contrariamente a chi la dichiara morta), molti giovani vanno a visitare mostre, partecipano a incontri, frequentano corsi.

Quello che in Italia, però, non esiste, è una pervasività popolare della fotografia: per i francesi – tutti i francesi – essa è parte della vita, vien da dire della quotidianità. Ma non quella in senso social (che ha invaso la vita di tutti e a tutte le latitudini), bensì quella d’autore: ho visto famiglie visitare le mostre insieme ai bambini, ho visto magneti da attaccare al frigorifero con le foto di Cartier-Bresson, ho visto chioschi che vendono per strada (tutto l’anno) macchine fotografiche usate e da collezione.

Venendo allo specifico delle molte cose viste, il motore di questo novembre tutto fotografico nella capitale francese è ovviamente proprio Paris Photo, la più importante fiera mondiale che raggruppa le maggiori gallerie internazionali, esponendo fotografie storiche e produzioni contemporanee, autori leggendari e altri emersi più recentemente. Ad accompagnare la manifestazione principale, una ridda di proposte invade la città, da PhotoSaintGermain alla Maison Européenne de la Photographie, dalla Fondation Cartier-Bresson alla galleria Le Bal, dal battello di Polycopies sulla Senna al salone Offprint, e l’elenco potrebbe continuare a lungo.

Una qualità in generale alta, ma un dato emerge su tutti, e forse qualcuno ne sarà sorpreso: il vero “vincitore” di tutto questo insieme di eventi è il libro fotografico: i luoghi ad esso dedicati sono stati presi d’assalto da un pubblico curioso, attento, prevalentemente giovane, che sta finalmente riscoprendo il valore, il piacere, la qualità, la sensualità, la bellezza e forse anche il profumo della carta. Ci si accorge che anche un buon libro fotografico può coinvolgere e raccontare storie intriganti, non solo una serie su Netflix o una graphic novel.

In Italia le iniziative librarie specificamente dedicate alla fotografia sono rare e si limitano generalmente alla presentazione di un singolo titolo in occasione della sua uscita. L’evento più organico che cerca di proporre il libro fotografico in una vera e propria rassegna con incontri tra autori e pubblico è Photography Books Reviews, che periodicamente viene organizzato da Photographers.it e ospitato all’Istituto Italiano di Fotografia a Milano. Da citare anche il festival biennale Charta, dedicato al libro fotografico, che si svolge a Roma.

Il libro fotografico è l’unico mezzo che restituisce alla fotografia la sinestesia perduta: oltre a vedere una fotografia possiamo toccarla, annusarla, e perfino sentirne il respiro in un fruscìo, sfogliando la pagina.

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