Tra plenaria finale rinviata più e più volte, sospensioni, tensioni e frustranti strategie, la Conferenza delle Parti sul clima di Sharm El-Sheik è diventata una tra le Cop più lunghe di sempre. Con un compromesso storico: ‘non toccare’ i combustibili pur di portare a casa il fondo Loss and damage per le perdite e i danni provocati dai disastri causati dal cambiamento climatico. Resta da chiarire quali dovranno essere i paesi donatori e quali i destinatari. Sul primo punto pesa il ruolo della Cina, da ridefinire alla luce del suo peso economico e politico a livello globale. Quel fondo, però, ora c’è, nell’ambito dell’istituzione di “nuovi accordi di finanziamento per assistere i paesi in via di sviluppo che sono ‘particolarmente’ vulnerabili agli effetti negativi del cambiamento climatico”. Questo il risultato arrivato dopo un sabato schizofrenico iniziato con le parole del presidente egiziano della Cop27, Sameh Shoukry, e del vice presidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, che sembravano raccontare due film diversi. Lo specchio delle rispettive proposte. Le trattative sono andate avanti durante la notte, fino alla fine di una Cop che passerà alla storia proprio per il Loss and damage, nonostante non si sia affrontato in modo decisivo la causa primaria del cambiamento climatico, ovvero l’utilizzo dei combustibili fossili (resta solo la ‘riduzione graduale del gas’ senza cattura di CO2, ndr). A pesare, l’opposizione di paesi come Russia e Arabia Saudita. A un anno dalla Cop26 di Glasgow, ci si ritrova così con altri 40 miliardi di tonnellate di anidride carbonica immesse nell’atmosfera e la prospettiva di perdere un altro anno di progressi in un decennio cruciale. Le rinnovabili entrano per la prima volta nel testo finale di una Cop, mentre si chiedono riforme del sistema della finanza globale, in particolare delle Banche multilaterali di sviluppo.

La Cop del fondo ‘Loss and damage’ – Per finanziare le perdite e i danni si prevede di mobilitare “risorse nuove e aggiuntive” e che questi nuovi accordi “integrino e includano fonti, fondi, processi e iniziative nell’ambito e al di fuori della Convenzione e dell’Accordo di Parigi”. Si prevede anche l’istituzione di un comitato ad hoc che dovrà discutere delle questioni emerse e non risolte, per esempio di quali dovranno essere i paesi donatori e quali quelli che ricevono i fondi, presentando raccomandazioni alla Cop del 2023 di Dubai. Molti, dunque, gli aspetti ancora da stabilire ma, almeno, non c’è stata la grande delusione vissuta alla Cop 26 dai Paesi in via di sviluppo che si erano visti negare il Loss and damage chiesto dal gruppo G77 + la Cina (135 Paesi) a causa dell’opposizione di alcune potenze come Usa e Ue. Quest’anno il tema era in agenda e ora è nero su bianco l’istituzione di quel fondo per le perdite e i danni causati dalle emissioni dei paesi ricchi. Nel testo non si utilizza la parola ‘risarcimento’ (termine che fa tanta paura agli Stati Uniti), ma è stato aggiunto quel “particolarmente” vulnerabili, che va incontro così alla proposta presentata dell’Unione europea venerdì in cui Bruxelles diceva per la prima volta sì al Loss and Damage, dettando una serie di condizioni.

La proposta dell’Ue L’Ue chiedeva che si ampliasse la platea dei donatori, stringendo al contempo il campo ai paesi più poveri e a rischio, data la difficoltà a stabilire quali paesi siano oggi i più vulnerabili (basti pensare a quanto accaduto in Pakistan a cui servono 30 miliardi di dollari, ndr). E considerato il fatto che la condizione di alcune nazioni è molto diversa rispetto a quando, nel 1992, si firmò la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, il trattato in base al quale si svolge ogni anno la Conferenza delle Parti (Cop). Trent’anni fa, infatti, si divise il mondo tra paesi sviluppati (e maggiori emettitori) e paesi in via di sviluppo. Nel frattempo, alcuni di quei Paesi sono diventati o stanno diventando delle potenze, hanno risorse importanti e, in alcuni casi, sono produttori di combustibili fossili o tra i maggiori inquinatori. Usa e Ue si sono sempre rifiutate di istituire il fondo, paventando il rischio che a beneficiarne fossero paesi come la Cina che, anche guardando alle emissioni storiche, è seconda solo dopo gli Stati Uniti, oppure Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Kuwait. Alla Cop 27 tutto questo è tornato a galla ma, dopo il sostegno manifestato anche da Regno Unito e Stati Uniti, è stata forte la percezione che su questo campo non si volevano (o potevano) più fare passi indietro.

Gli impegni di mitigazione L’altra condizione richiesta dall’Unione europea, però, era la conferma degli impegni di mitigazione presi l’anno scorso a Glasgow con il riferimento, per esempio, all’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali. “Abbiamo cercato di portare tutti sull’obiettivo di 1,5 gradi, sul picco delle emissioni al 2025 e su una chiara intenzione di eliminare i combustibili fossili. Questa settimana abbiamo sentito 80 paesi sostenere questi obiettivi – ha commentato Timmermans – ma non li vediamo riflessi qui. Alcuni hanno messo barriere non necessarie sulla strada”. Il limite al riscaldamento globale resta quello di Glasgow: non si perde il riferimento a 1,5 gradi dai livelli pre-industriali (lasciando lo storico ‘ben al di sotto dei 2 gradi’) e si riconosce che per restare sotto 1,5 gradi è necessario ridurre le emissioni del 43% al 2030 rispetto al 2019. Ma con gli impegni di decarbonizzazione attuali il taglio delle emissioni al 2030 sarebbe solo dello 0,3% rispetto al 2019. Per questo motivo, gli Stati che non hanno ancora aggiornato i loro obiettivi di decarbonizzazione (Ndc), dunque non tutti quanti, sono invitati a farlo entro il 2023. Per il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, il documento finale “non è comunque sufficiente”. “La Cop27 di Sharm El-Sheikh si chiude con un risultato importante per la fiducia e la solidarietà internazionale, ma insufficiente per affrontare in modo adeguato la causa primaria del riscaldamento climatico” spiega Luca Bergamaschi, co-fondatore e direttore del think tank Ecco, sottolineando che manca l’impegno “per un’uscita sicura e socialmente sostenibile dai combustibili fossili”.

Il braccio di ferro Come sarebbe andata a finire si intuiva, però, dalla controproposta egiziana, che ha reso il terreno dei negoziati molto scivoloso. Nella notte di venerdì, la presidenza della Cop27 ha mostrato ai delegati delle regioni (per l’Europa c’era Timmermans) due testi di mediazione sulla mitigazione e sul fondo per le perdite e i danni che il presidente della Cop 26 Alok Sharma si è rifiutato di commentare. “La proposta che la presidenza egiziana ha solo mostrato ai delegati, senza che se ne discutesse – ha raccontato alla stampa l’inviato speciale dell’Italia sul clima, Alessandro Modiano – non ha preso in considerazione la proposta europea che legava il fondo agli obiettivi di mitigazione. Mantiene formalmente l’obiettivo del riscaldamento entro 1,5 gradi, ma svuota tutti i meccanismi di monitoraggio e coordinamento che erano stati concordati alla Cop26 di Glasgow”. In mattinata, Frans Timmermans aveva chiarito: “Siamo pronti ad andarcene se non avremo un risultato che renda giustizia a ciò che il mondo sta aspettando. Non accetteremo un risultato che ci riporti indietro”. E Modiano: “Piuttosto che fare passi indietro, meglio non raggiungere un accordo”. Arabia Saudita, Brasile e Cina hanno paventato la possibilità di chiedere l’indebolimento dell’obiettivo della temperatura e di rimuovere l’obbligo stabilito a Glasgow per i paesi di aggiornare i loro piani di riduzione delle emissioni ogni anno.

Il fallimento sui combustibili fossili Ma quando tutto sembrava quasi perduto, i negoziati sono continuati e si è arrivati a un’altra bozza, nel pomeriggio. Più distensiva, ma incompleta perché restavano da definire diversi aspetti, come il picco delle emissioni nel 2025 chiesto da Europa e Regno Unito e l’impegno a ridurre tutti i combustibili fossili (entrambi non ottenuti). Non è mai entrata nel documento la proposta dell’India di estendere il riferimento alla riduzione graduale del carbone (introdotto a Glasgow) anche agli altri combustibili. Nel frattempo, però, a margine della Cop27, l’Arabia Saudita ha annunciato una collaborazione con la compagnia petrolifera nazionale Aramco per la creazione e la gestione di un hub per la cattura e lo stoccaggio del carbonio che dovrebbe aiutare il paese a raggiungere il suo obiettivo di zero emissioni entro il 2060. Piani e tempi diversi da quelli dettati da Glasgow. Lo aveva confermato già la bozza del pomeriggio ma, almeno, metteva al sicuro il fondo Loss and damage. Un compromesso. Un compromesso storico.

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