Un po’ squadra materasso, un po’ esperimento all’avanguardia: più che una squadra, una nazionale in provetta. Il Qatar, che in qualità di Paese ospitante darà il via ai Mondiali, è tante cose ma certo non la classica Cenerentola che qualcuno si aspetta. Della formazione improvvisata non ha nulla. Semmai, è l’ennesimo progetto faraonico e visionario a cui l’emirato lavora da oltre un decennio, e che ora sarà messo alla prova del campo: costruire a suon di miliardi un team competitivo a livello internazionale, in un Paese che conta 3 milioni di abitanti ma appena 300mila di passaporto qatarino, e soprattutto non ha mai avuto alcuna tradizione a livello calcistico. Il modo più facile di riuscirci sarebbe stato probabilmente quello di “acquistare” come figurine degli oriundi, i sudamericani sono sempre stati i più richiesti e a buon mercato. Una tentazione ricorrente per questi Stati con tanti soldi e poca tradizione, ma non per il Qatar. La sua nazionale, che in un certo senso è unica al mondo, assomiglia piuttosto a una squadra di club. Anzi, a una famiglia, che si è formata ed è cresciuta insieme negli ultimi dieci anni all’Aspire Academy.

Si tratta del più grande e avveniristico centro sportivo del pianeta, quartier generale dello sport qatarino. Qui c’è di tutto: uffici, infrastrutture di ogni tipo, anche uno stadio, il Khalifa, uno degli otto impianti del torneo. Ma soprattutto, ci sono le accademie di alcune discipline su cui il governo ha deciso di investire: scherma, squash, tennis tavolo, atletica. E calcio, ovviamente. In questi sport le nazionali sono dei progetti di Stato. Qui il governo indirizza i suoi sforzi e le sue risorse economiche praticamente illimitate, costruisce strutture all’avanguardia, ingaggia tecnici, preparatori, analisti, le migliori professionalità da ogni parte del pianeta. Ed è qui che vengono allevati i talenti più promettenti del Paese e non solo, un po’ di tutta l’area circostante, visto che Doha è crocevia della Penisola araba. Molti non sono nati in Qatar – e quindi non hanno tecnicamente la cittadinanza qatarina – ma non sono nemmeno oriundi: sono immigrati arrivati da piccoli nel Paese e poi cresciuti fin da tenera età all’Aspire, tra la foresteria, dove vivono, e l’accademia, dove si allenano e diventano atleti, magari campioni.

Questo è il programma che ha partorito la stella di Mutaz Barshim, campione olimpico di salto in alto (insieme al nostro Gianmarco Tamberi). E che ha costruito anche la nazionale di calcio che vedremo impegnata ai Mondiali. Una squadra che di fatto è cresciuta e gioca insieme da oltre dieci anni. E che in vista del grande appuntamento è in ritiro da mesi tra Spagna e Austria, con i giocatori convocati tolti alle rispettive squadre di club in campionato. In panchina siede lo spagnolo Felix Sanchez, che viene dalle giovanili del Barcellona, ma è arrivato in Qatar nel 2006 e qui ha fatto tutta la trafila: preparatore in accademia, poi commissario tecnico dell’under 19, dell’under 20, dell’under 23 e infine dal 2017 della nazionale maggiore. Più che un semplice allenatore, è come un padre per questa squadra: tutti i giocatori – comprese le due stelle Akram Afif, ala di origine tanzaniane con trascurabili trascorsi nel calcio europeo tra Spagna e Belgio, e il bomber Almoez Ali, sudanese a un passo dal record all-time di gol – sono cresciuti con lui a pane e tiki-taka. La formazione pratica una filosofia spiccatamente spagnola, fatta di possesso palla e passaggi corti. Stile Barça di Guardiola, con le dovute proporzione e il rischio di scadere nel ridicolo.

Nonostante l’ambizione sconfinata, il bacino da cui pescare rimane piccolissimo. Più che una squadra di calcio, questa è una formazione costruita in laboratorio. Il risultato è un’incognita. La nazionale è ovviamente al debutto Mondiale: oggi è 50esima nel ranking, ma solo 5 anni era oltre il centesimo posto. Senza il diritto acquisito di partecipazione come Paese ospitante, probabilmente non si sarebbe mai qualificata, ma chissà che con la formula allargata a 48 squadre approvata dalla Fifa non possa avere qualche chance in futuro. Il suo miglior risultato nella storia, l’unico davvero degno di nota, è la clamorosa vittoria della Coppa d’Asia nel 2019, battendo in finale per 3-1 il più blasonato Giappone. Di recente, ha preso parte su invito (prezzolato) alla Copa America 2019, dove è arrivata ultima nel suo girone, ma anche alla Gold Cup 2021 (la competizione centroamericana), spingendosi fino alle semifinali. Tutti si chiedono ora che cosa potrà fare al Mondiale. Una mano l’ha data il sorteggio, particolarmente benevolo, assegnandole un gruppo con Senegal e Ecuador. Se non dovesse bastare, secondo alcune accuse – non verificate – dall’Inghilterra il governo avrebbe addirittura provveduto a comprare la partita inaugurale, corrompendo con 7,4 milioni di dollari otto giocatori ecuadoriani. L’obiettivo è passare il girone, ma soprattutto non sfigurare. Non si può essere una potenza dello sport mondiale senza una squadra presentabile. Per l’emiro è un’impresa ancor più grande di organizzare un Mondiale nel deserto.

Twitter: @lVendemiale

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