Una finale che agli scommettitori avrà fruttato briciole, da pre-scrivere giorni fa con durata e risultato su un foglio chiuso in busta sigillata. A tanto ammontava la sicurezza del sesto trionfo alle Nitto ATP Finals di Novak Djokovic, il penultimo degli Highlander dopo Rafa Nadal che però, di un anno più vecchio, dall’appuntamento torinese è uscito sconfitto. Troppo in forma, troppo sicuro di sé, troppo avido di vittoria. Così il campione serbo si è guadagnato quel trofeo che intimamente sentiva gli toccasse di diritto, forse a discapito dei “furti” dei due Slam a cui non ha potuto partecipare, forse – inconsciamente – a dimostrazione che a differenza di Roger Federer, il suo eterno rivale pochi mesi fa ritiratosi dal professionismo, lui c’è, e lotta ancora guardando alla vetta.
Se la sorride, il Djoker di Belgrado: con Rafa non (più?) in forma, con Roger a non rubargli più la scena e i favori del pubblico (che comunque non smette di rimpiangerlo). Un pubblico che, soprattutto in Italia, ormai lo ha adottato come eroe nazionale e con cui si diletta in dialoghi in perfetto italiano, mettendo in mostra la famiglia, la moglie, i bellissimi figli già fan del “Tati”, il papà serbo formatosi tennisticamente anche un po’ nel Belpaese.
Al 23enne Casper Ruud, capitato in finale non più per caso ma per indiscussi meriti, ha lasciato ben poco: 7:5, 6:3 in 1 ora e 33’. Il giovane norvegese dai modi gentili ma dai passanti micidiali si è arreso senza farsi umiliare: in fondo lo sapeva che questa edizione delle Finals spettava a Nole, il suo nome era già scritto sulla coppa con l’inchiostro invisibile. Del resto il 21 volte campione Slam e 6 volte (eguagliando il ricordo di Federer) trionfatore di questo torneo – che è appunto la conclusione dell’anno dell’Atp Tour – è arrivato in finale senza perdere un match: questo gli ha fatto guadagnare 1500 pulitissimi punti in classifica e la “modica” cifra di 4,7 milioni di euro. Sì, quattro milioni e settecento mila euro incassati in una settimana. Una cifra record anche per i già miliardari signori della racchetta.
Elastico e roccioso, resistente e resiliente eppure apparso anche stravolto alla fine di alcuni match (contro Medvedev è stato inquadrato col braccio tremante seduto e senza forze), Djokovic può non piacere come modo di porsi, ma indubbiamente oggi è un uomo e un giocatore forse diverso. Più sereno, maturo e libero di lasciarsi alle spalle rivalità insidiose, accese gelosie, plateali malumori – appunto. Eppure non sono passati troppi mesi dalle sceneggiate australiane che lo videro “protagonista-vittima” di un divieto, circondato da piagnistei nazional-popolari in patria (persino il presidente della Serbia si è messo di traverso). Lo hanno chiamato “Novaks” per la sua avversità ai vaccini anti-Covid, masochista fino ad autoescludersi dagli Stati Uniti e quindi dagli US Open, dopo aver vinto quel Wimbledon senza punti perché vietato ai tennisti russi.
Insomma, in un anno di divieti tra epidemie e guerre che sono pesati anche sul tennis, il “nostro” l’ha spuntata ancora, ma chi lo conosce bene sa che tutto questo non gli basta: lo scettro di N. 1 passato all’enfant prodige Carlos Alcaraz (alle ATP Finals assente per infortunio, e forse oggi saremmo a scrivere un’altra storia…) Nole lo rivuole per sé. Così come vorrà sfidare l’unico “eterno” rivale che gli resta, Rafa Nadal (che comunque è già leggenda..) eguagliandolo nel numero degli Slam vinti: al momento lo spagnolo è in testa a quota 22 (mai nessuno come lui..) e Nole 21. Vogliamo scommettere?