di Francesco Schettino
La questione della nomina di Luigi Di Maio a inviato speciale dell’Unione europea è – giuridicamente – di facile soluzione: Di Maio non è un apolide e dunque basterebbe che il governo negasse il suo gradimento per chiudere il caso. Il problema è dato dalla sua connotazione politica: il governo vuole davvero dissociarsi e bloccare la nomina, come a mio avviso dovrebbe, essendo formato da partiti che gli sono sempre stati tradizionalmente ostili?
Chi non ricorda il profluvio di post e commenti aspramente negativi provenienti da FdI, Lega e FI che – senza tregua – ha accompagnato l’avventura parlamentare di Di Maio conclusasi con una umiliante esclusione? C’è davvero la “volontà politica” di opporsi alla nomina?
Macché! Giorgia Meloni – primo ministro – tace e si sfila alla chetichella. Antonio Tajani – ministro degli Esteri – si nasconde dietro Draghi a suo dire responsabile della nomina, senza neppure accorgersi che – così facendo – viene a contraddire clamorosamente Borrell, il quale sulla nomina dovrà dare l’ultima parola.
Insomma, la solita squallida pantomima inscenata da un governo a cui concorrono partiti che, teoricamente, sarebbero tutti ostili alla nomina. Teoricamente… Poi – nella realtà effettuale, come direbbe Machiavelli – abbiamo uno spettacolo diverso interpretato dalla nuova premier che, come detto, tace e si sfila. E da Tajani – ministro degli Esteri – che si rifugia pavidamente all’ombra di Draghi.
Vedo salire alla ribalta lo squallido scaricabarile di sempre che segna – come un marchio di fabbrica – l’intero arco della vita politica italiana. Questa volta della destra. A conferma che in Italia destra, sinistra e centro sono solo simboli della segnaletica stradale.