È bastata una manciata di minuti per far afflosciare un sogno che era stato fatto lievitare per dodici anni. Perché appena il pallone ha iniziato a rotolare sul prato verde dello stadio Al Bayt di Al Khor, le paure della vigilia si sono trasformare in realtà. Il Qatar non si è limitato a perdere contro l’Ecuador (nazionale che occupa il posto numero 44 nel ranking Fifa), ha fatto molto di più. La squadra di Félix Sánchez è entrata nella storia. Ma dalla porta sbagliata. Nessuna Nazione ospitante era mai stata battuta nella gara inaugurale di un Mondiale.
Almeno fino al 20 novembre 2022, quando il Qatar ha centrato l’impresa al contrario. L’obiettivo della vigilia era non sfigurare, evitare imbarcate, mostrare di poter creare almeno un grattacapo a una rivale più blasonata. Insomma, perdere ma con l’onore delle armi. Il Qatar, invece, ha scricchiolato ogni volta che gli avversari hanno avuto il pallone fra i piedi, si è smarrito ogni volta che aveva la possibilità di disegnare una trama offensiva. E dopo novanta minuti si è già candidato (anche più dell’Iran per ne ha presi 6 dall’Inghilterra) all’Oscar come peggior attore non protagonista.
Certo, le emozioni per l’esordio casalingo possono aver sgonfiato le gambe e impiombato le spalle dei giocatori in maglia granata, ma il significato della sconfitta contro l’Ecuador sembra molto più profondo. La vittoria della Coppa d’Asia del 2019 è stata una grande illusione. Per poter competere davvero in un Mondiale il Qatar ha bisogno di tempo. E anche parecchio. Perché 12 anni non sono sufficienti per creare un movimento sportivo. Nonostante gli investimenti massicci, nonostante le naturalizzazioni, nonostante il know-how di alcune delle (ex) stelle più luminose del firmamento europeo. La debacle contro l’Ecuador è il fallimento di un sistema che si pensava potesse dare frutti già da subito, con i ragazzini delle elementari passati al setaccio e spediti a dilatare il proprio talento nella famosa (e per qualcuno famigerata) Aspire Academy.
E sono proprio i gioielli usciti da quella fabbrica di speranze a essere evaporati all’Al Bayt. Il portiere Saad Al Sheeb, che era stato il miglior estremo difensore della Coppa d’Asia 2019, si è dimostrato goffo e impacciato. Akram Hassan Afif, giocatore asiatico dell’anno dopo il trofeo conquistato negli Emirati Arabi Uniti, si è rivelato a tratti irritante. Almoez Ali, la stella che con 9 reti aveva trascinato il Qatar sul tetto dell’Asia, è stato una figura ectoplasmatica per tutta la partita, fino a quando Félix Sánchez non ha deciso di sostituirlo. Un disastro per un giocatore che la Red Bull ha accolto fra suoi atleti brandizzati definendolo addirittura un attaccante “fenomenale”.
L’unico sussulto è arrivato alla fine, quando Mohammed Muntari, trentenne ghanese naturalizzato qatariota, ha avuto un po’ di spazio davanti e ha impensierito Galíndez (che ha chiuso la gara senza neanche una parata) con un bel tiro che si è spento di poco sopra la traversa. Troppo poco per cullare sogni di gloria, per sperare di poter passare il girone. Le partite contro Senegal e Olanda diranno molto sulla reale consistenza (o sull’inconsistenza) di questa squadra. Perché assieme alla paura di fare figuracce e all’emozione per un esordio storico, svaniranno anche la attenuanti. Così i prossimi 180 minuti diranno se il sogno che il Qatar ha costruito a suon di petrodollari assumerà i contorni dell’incubo.