Le regioni che ospitano i grandi poli dell’automobile del vecchio continente mettono in piedi un’alleanza per chiedere all’Unione Europea di riconsiderare il bando alla vendita di auto termiche, fissato al 2035. Sono 28 le amministrazioni locali che vi hanno aderito – fra cui le nostrane Lombardia, Piemonte, Toscana, Umbria, Veneto, Abruzzo e Molise – con lo scopo di “creare un meccanismo europeo a sostegno di una transizione giusta, equa e riuscita per le Regioni” e di “sostenere riqualificazione e aggiornamento delle competenze della forza lavoro” per evitare perdite occupazionali.
Per Guido Guidesi, assessore alle Attività produttive della Lombardia e vice presidente dell’Alleanza, quest’ultima rappresenta “un nuovo strumento con cui rinforzare la strategia difensiva del settore automotive. Sull’altare della transizione non possiamo sacrificare competenze e capacità e soprattutto una leadership conquistata in cento anni di ricerca, innovazione e scelte imprenditoriali”. Il riferimento è alla tecnologia dei motori termici, inclusi quelli “elettrificati”.
“A nostro avviso – prosegue l’assessore – corriamo tre grandi rischi. Il primo: le imprese della componentistica potrebbero non riuscire a convertirsi, con gli effetti che possiamo immaginare sull’occupazione. Il secondo è che il mondo delle, costose, auto elettriche escluda una fetta importanti di cittadini dalla possibilità di acquistare un’automobile. Il terzo è economico, strategico, produttivo e industriale, consegnando ad altri competitor extra europei un settore che abbiamo presidiato con non pochi sacrifici”. In questo caso i “competitor extra europei” sono le multinazionali cinesi, che detengono il controllo delle risorse naturali necessarie per produrre batterie: circa il 70% degli accumulatori arriva da lì.
Quel che chiedono i poli europei dell’automotive, in sostanza, è una transizione ecologica che tenga conto di più soluzioni: “Noi pensiamo che per raggiungere gli obiettivi ambientali che sono stati giustamente prefissati, la soluzione sia la piena neutralità tecnologica, ovvero potere dare continuità al motore endotermico attraverso l’utilizzo di nuovi carburanti eco compatibili che ci consentano di raggiungere l’impatto zero nella circolazione. Sviluppare alternative come quella dei biocarburanti può rappresentare anche un’occasione imprenditoriale, in grado di salvaguardare ambiente e occupazione”.
Considerazioni che arrivano in perfetta sincronia con le ultime dichiarazioni di Luc Triangle, segretario generale del sindacato globale IndustriAll (rappresenta oltre 50 milioni di lavoratori): “Nell’industria automotive del Vecchio continente il 35% dei posti di lavoro è minacciato dall’elettrico. Per affrontare la transizione abbiamo bisogno di una strategia industriale europea per mantenere e creare buoni posti di lavoro, decarbonizzando al contempo il settore”.
“L’industria automobilistica sta attraversando una trasformazione senza precedenti. La perdita di posti di lavoro su larga scala, l’aumento della pressione sui lavoratori rimasti e i danni sociali saranno inevitabili se l’elettrificazione e l’automazione del settore continueranno a essere lasciate alle sole forze del mercato”, ha ribadito Triangle: “Servono investimenti per trasformare gli impianti esistenti e sviluppare le catene di fornitura necessarie per produrre i veicoli di cui abbiamo bisogno in Europa e nel mondo per affrontare l’urgenza climatica. Per garantire una transizione equa e mantenere i lavoratori a bordo in questa rivoluzione industriale, dobbiamo avere strategie negoziate che anticipino meglio i cambiamenti in corso”. Nel nostro Paese gli effetti di una transizione ecologica disordinata ed “elettrocentrica” potrebbero provocare danni occupazionali ancora più ingenti: secondo Fiom, Fim-Cisl e Uilm, la transizione coinvolgerà 250 mila lavoratori, di cui 120 mila – quasi la metà, quindi – saranno “particolarmente a rischio”. Percentuali che potrebbero interessare in simili proporzioni anche l’indotto.