L'ex ministro ed ex governatore della Regione Lombardia è scomparso nella notte all'età di 67 anni, sconfitto da un male incurabile. Una vita all'insegna della politica e della musica nel segno della Padania e dell'R&B
“Questa notte il nostro caro Bobo ci ha lasciati. A chi gli chiedeva come stava, anche negli ultimi istanti, ha sempre risposto “bene”. Eri così Bobo, un inguaribile ottimista. Sei stato un grande marito, padre e amico”. Questo il post pubblicato in mattinata sul profilo di Roberto Maroni, morto nella notte al termine di una lunga malattia che lo accompagnava da ormai due anni. Il messaggio di commiato si chiude poi con una citazione di Emily Dickinson: “Chi è amato non conosce morte, perché l’amore è immortalità, o meglio, è sostanza divina“. Aveva 67 anni, lascia la moglie e tre figli.
Alle spalle una lunga carriera politica che lo ha visto due volte ministro dell’Interno (nel primo governo Berlusconi poi nell’ultimo governo Berlusconi), ministro del Lavoro (nei governi Berlusconi II e III) e governatore della Lombardia dal 2013 al 2018. Storico numero due di Umberto Bossi e anima critica della Lega, tra il 2012 e il 2013 ha traghettato il partito verso una nuova era, facendosi interprete della volontà della base del Carroccio in uno dei momenti più complicati della Lega Nord. Non ha mai smesso di proporre il suo personale punto di vista, criticando in maniera aperta la linea populista di Salvini che ha scelto di portare il partito su un binario diverso, molto lontano da quello originale. Dopo la fine della legislatura scelse di non ricandidarsi alla guida della regione, passando il testimone a un altro varesino, Attilio Fontana. Poco più di un anno fa veniva dato in pole position come candidato per la Lega alla carica di sindaco di Varese, una candidatura che declinò anche a causa del progredire della malattia.
Il suo impegno politico, seppur da una posizione defilata, non si è mai fermato, nemmeno negli ultimi tempi, quando ha continuato a scrivere dalle colonne de Il Foglio la sua rubrica Barbari foglianti (dopo la batosta elettorale alle ultime politiche aveva rinnovato evocato proprio da qui l’esigenza di un “nuovo corso, a partire dal segretario”). Il titolo della rubrica ricalcava quello dei barbari sognanti, la corrente che faceva riferimento proprio a lui e ha portato alla famosa notte delle scope di Bergamo, con cui il partito si era lasciato alle spalle il cerchio magico bossiano, cercando una nuova identità.
La passione per la politica arriva prestissimo. Da giovane bazzica gli ambienti di Democrazia Proletaria a Varese, dove ha frequentato il liceo classico Cairoli (poi studierà Giurisprudenza a Milano). Alla fine degli anni 70 conosce Umberto Bossi e viene folgorato dalle sue idee. Da allora si è buttato anima e corpo all’inseguimento del sogno padano: dai primi comizi davanti alle platee quasi deserte, all’entusiasmo crescente per quell’ideale autonomista difficile da capire lontano dalle Prealpi. Nel 1985 viene eletto nel consiglio comunale di Varese per la Lega Lombarda. Sono gli anni delle scritte sui muri, della militanza fatta con le latte di vernice e di chiacchierate fino a notte fonda. Anni di comizi raggiunti in sella alla motocicletta arringando l’assopito popolo del nord contro “Roma ladrona”. Nell’89 partecipa alla fondazione della Lega Nord e tre anni più tardi el 92 sarà eletto per la prima volta deputato.
Tra gli episodi celebri della sua militanza leghista, quello della perquisizione nella sede del Carroccio, che gli costò una denuncia (e poi una condanna) per resistenza a pubblico ufficiale. Era il 18 settembre del 1996, la polizia aveva mandato di perquisire la sede di via Bellerio nell’ambito dell’inchiesta sulle “camicie verdi”. Un gruppo di tenaci leghisti era intenzionato ad impedire l’accesso degli agenti. Tra di loro, appunto, Roberto Maroni che nella foga del momento morse il polpaccio di un agente della Digos. Per lui e per gli altri protagonisti della vicenda (Mario Borghezio, Roberto Calderoli, Davide Caparini e Piergiorgio Martinelli oltre allo stesso Umberto Bossi) arrivò una condanna a 8 mesi, ridotta poi in appello a 4 mesi e 20 giorni per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale.
Ma quella per la politica non è stata l’unica passione di Bobo Maroni. Per anni è stato una delle colonne dei Distretto 51, gruppo rhythm and blues, per cui suonava l’organo hammond. Una passione giovanile portata avanti negli anni con costanza. Anche quando l’attività politica aveva preso il sopravvento, non ha mai rinunciato a partecipare ad eventi di beneficienza assieme ai suoi amici di sempre. E proprio questo forte legame gli costò più di qualche critica ai tempi dell’elezione a presidente della Regione Lombardia. Molti componenti del gruppo ebbero infatti incarichi pubblici (o promozioni) nella sanità lombarda: Giovanni “Johnny” Daverio, da direttore generale della Asl di Varese diventò “capo dell’assessorato alla famiglia”. Giuseppe “Gegè” Rossi finì a capo del polo ospedaliero di Lodi e Simona Paudice, vocalist del gruppo, divenne coadiutore amministrativo esperto all’ospedale di Treviglio. Le accuse vennero sempre respinte al mittente, obiettando che si trattasse di professionisti di comprovata esperienza prima che di amici.