Non c’è niente di più maestoso di una divinità che cade nella polvere. Un concetto che è tornato di stretta attualità questa mattina, proprio quando nessuno se lo aspettava. Perché la “piccola” Arabia Saudita ha centrato una di quelle imprese che capitano una sola volta nella vita. Quando va bene. La squadra guidata da Hervé Renard ha mandato al tappeto l’Argentina di Messi e Di Maria (2-1 il finale), trasformando i sogni di gloria dei favoriti del Mondiale in un incubo a occhi aperti. È un risultato che va oltre il concetto di Davide che sconfigge Golia. Perché dimostra che il collettivo può ancora fagocitare i singoli, per quanto grandi possano essere. L’Arabia Saudita non è una squadra dalle individualità abbacinanti, ma è un gruppo con un’identità ben definita e un’idea in testa. Due linee strette, anzi, strettissime fra loro, difesa alta, contrasti duri, ripartenze e nessuna vergogna di sparare il pallone in tribuna nei momenti più caldi della partita.
Un calcio basico e spigoloso, sul quale si è innestata la capacità di non mollare il timone quando le onde sembravano sul punto di rovesciare la barca. Il primo tempo è stato un lungo brivido dietro la schiena, con Messi che ha avuto un’ottima opportunità dopo neanche un minuto e mezzo e che ha realizzato un rigore al 10°. E proprio quando tutto sembrava perso, la squadra in maglia verde ha continuato a seguire le istruzioni dell’allenatore. L’Argentina ha segnato altre tre reti. Ma sempre in fuorigioco. Poi nella ripresa l’Arabia Saudita ha tirato due volte in porta. E ha trovato altrettanti gol. Prima con Saleh Al-Shehri e poi con una perla di Salem Al-Dawsari, il giocatore più talentuoso della squadra. Al fischio finale Renard ha detto che tutte le stelle si erano allineate nel modo giusto per consentire la vittoria dei suoi ragazzi. Ma la verità è che la sua mano si è vista eccome. Dopo un passato da difensore nella periferia del calcio francese, Renard ha iniziato ad allenare nell’estrema periferia del mondo.
Qualche club in Cina, Vietnam, nelle serie minori inglesi e francesi prima della grande opportunità con Sochaux e Lille. In mezzo una Coppa d’Africa vinta con lo Zambia (nel 2012) e una con la Costa d’Avorio (2015). Nel 2019 Renard è stato ingaggiato da una Federcalcio che bruciava in media un commissario tecnico l’anno. E ha iniziato a scrivere una storia molto diversa. Hervé ha dato solidità, ha creato un collettivo, ha puntato su giocatori sconosciuti al grande pubblico che giocavano nel campionato di casa. Più per assenza di alternative che per scelta. Un anno prima la Liga aveva siglato un accordo con la Federazione Saudita per accogliere, in cambio di un contributo economico sostanzioso, delle giovani promesse locali nei club spagnoli. Fra questi c’era anche Al-Dawsari, uno che in patria veniva soprannominato “Tornado”, ma che con il Villarreal ha giocato solo uno spezzone di partita, contro il Real Madrid, senza lasciare tracce indelebili.
Il percorso che ha portato l’Arabia al Mondiale è stato più che interessante e ha fatto registrare una sola sconfitta, contro il Giappone. La crescita è stata costante e ha trovato espressione in quel 4-1-4-1 che oggi ha finito per risucchiare Messi e compagni, in una partita conclusa addirittura con una linea difensiva a sei uomini che ha fatto alzare i decibel ad Andrea Stramaccioni. Una prestazione tutta grinta che ha trovato il suo momento di pathos quando il portiere Mohammed Al-Owais si è disperato dopo aver colpito con una ginocchiata in pieno volto la colonna della difesa Yasser Al-Shahrani, l’uomo che nel 2013 ha avuto il privilegio di posare accanto a Leo Messi sulla copertina del videogioco Fifa. Oggi l’Arabia Saudita ha condannato l’Argentina a rincorrere per l’ennesima volta la sua grandezza passata, a fare i conti con un Leo che non riesce mai a farsi Diego. Ma la storia di questa squadra non può certo essere considerata una favola. A fine partita Renard ha voluto ringraziare il principe ereditario Mohammed bin Salman per non aver “messo troppa pressione” alla squadra. Una dichiarazione che stona rispetto alla difficile situazione del Paese, dove i diritti umani vengono ancora sistematicamente calpestati.