Sono stati ritrovati nuovi reperti organici: l'ipotesi è che, con i progressi scientifici degli ultimi anni e con le nuove banche dati di Dna, si possano ricavare indizi importanti. Il procuratore De Nicolo: "Dobbiamo constatare se c'è del materiale utilmente sottoponibile a indagini genetiche"
La Procura di Trieste riaprirà le indagini su Unabomber. Come ha annunciato il procuratore capo Antonio De Nicolo, dopo 16 anni dall’ultimo attentato, la magistratura tornerà sul caso. È stata accolta un’istanza presentata dal giornalista Marco Maisano e da due donne vittime di Unabomber, Francesca Girardi e Greta Momesso. Maisano, insieme a Ettore Mengozzi e Francesco Bozzi, ha lavorato per mesi alla realizzazione di un podcast proprio su Unabomber. Visionati i reperti del caso, custoditi al porto di Trieste, il giornalista ha trovato un capello bianco su un uovo inesploso che era stato acquistato da un uomo di Azzano Decimo, in provincia di Pordenone, in un supermercato di Portogruaro nel 2000. Oltre a questo, altri due reperti organici, capelli e peli, sono stati recuperati da un ordigno inesploso trovato in un vigneto, a San Stino di Livenza, Venezia. L’ipotesi è che, con i progressi fatti dalla scienza negli ultimi 16 anni e con la banca dati del Dna a disposizione, da quel materiale si possano ricavare indizi importanti per individuare Unabomber.
“Verificheremo se da tutto il materiale organico allora repertato è stato estratto o meno il Dna“, ha anticipato De Nicolo, titolare del nuovo fascicolo insieme al pm Federico Frezza, ultimo pubblico ministero a essersi occupato di Unabomber. “È possibile che in alcuni casi, con i metodi utilizzati allora, non fosse ritenuto estraibile, mentre con quelle attuali magari sì – continua De Nicolo – Quindi dobbiamo constatare se c’è del materiale utilmente sottoponibile a indagini genetiche“.
La serie di 28 attentati dinamitardi, dal 1994 al 2006, ferì e mutilò diverse persone nel Nord-Est, con piccole quantità di esplosivo nascosto negli oggetti più disparati: da un inginocchiatoio a una candela, un uovo o un tubo. Per queste azioni fu accusato un ingegnere bellunese, Elvo Zornitta. La sua posizione fu archiviava nel 2016 dalla Procura di Trieste quando fu scoperto che la prova regina di un lamierino tagliato con una forbice, sequestrata nel piccolo laboratorio annesso alla casa dell’ingegnere, era stata manomessa da un poliziotto, Ezio Zernar, poi condannato proprio per questo episodio. Nella motivazione dell’archiviazione, il pm Frezza ipotizzava che Unabomber non fosse una ma più persone.
Bisogna chiedersi “se le indagini si riaprono in base a nuovi elementi oppure solo per una richiesta. Perché se così fosse, per quale motivo non si è continuato a indagare? Significherebbe che si è perso solo del tempo“, si è domandato proprio l’ingegnere Elvo Zornitta. “Ho perso la speranza che lo trovino. Anch’io sono vittima di Unabomber. Non sono rimasto mutilato fisicamente, ma le ferite dell’inchiesta che mi ha travolto sanguinano ancora”, ha continuato, sottolineando che il coinvolgimento nella vicenda gli ha fatto perdere il lavoro e accumulare debiti per pagare avvocati e periti. “Anche i miei genitori sono stati vittime, segnati da questa vicenda – continua – Il tribunale mi ha riconosciuto in maniera estremamente parziale un risarcimento. Ma si è messo di mezzo l’avvocatura dello Stato che ha presentato ricorso per non pagare nemmeno quel poco che mi era stato riconosciuto”.