Cronaca

Cosa significa riaprire il caso Unabomber: gli attentati, i messaggi subliminali, le inchieste, le condanne e le accuse alle persone sbagliate

Il giornalista Marco Maisano e due bambine ora diventate adulte, che vennero ferite dall’esplosione di altrettanti ordigni, hanno chiesto di accendere un faro sui reperti rimasti, avvalendosi delle tecniche più moderne per analizzare i reperti ed eventualmente le tracce di Dna rimaste

Scoperchiare il pentolone di Unabomber, come ha deciso di fare la Procura della Repubblica di Trieste, significa entrare in uno strano, misterioso, insoluto caso in cui si intrecciano sospetti privati e depistaggi pubblici. Non ci sono morti, ma vittime che portano ancora dopo tanti anni sul loro corpo i segni di una follia solo apparentemente minimale. Ora le indagini sono riaperte, come spiega il procuratore Antonio De Nicolo, che della vicenda intende occuparsi assieme a Federico Frezza, che fu l’ultimo pubblico ministero ad occuparsene, fino alla richiesta di archiviazione, poi avvenuta nel 2009.

Da un lato si tratta di un atto dovuto, visto che il giornalista Marco Maisano, autore di una recente ricostruzione investigativa per il podcast Fantasma-Il caso Unabomber, e due bambine ora diventate adulte, che vennero ferite dall’esplosione di altrettanti ordigni, hanno chiesto di accendere un faro sui reperti rimasti, avvalendosi delle tecniche più moderne per analizzare i reperti ed eventualmente le tracce di Dna rimaste. Per sgomberare il campo da possibili facili illusioni, quei reperti sono già stati analizzati, quindi i giornalisti non hanno scoperto nulla. Ma potrebbe essere la scienza che, avvalendosi della banca dati del Dna, potrebbe trovare riscontri sui campioni, magari associandoli a qualche identità insospettabile.

Il campo è sterminato perché Unabomber ha colpito in un arco di tempo molto lungo, dal 1993 al 2006. Dapprima lasciava tubi in ferro imbottiti di esplosivo, in spiaggia, lungo una strada, in una vigna. Poi però – ammesso che l’autore sia sempre stato lo stesso – ha cominciato a imbottire oggetti di uso comune: un uovo in un supermercato, un evidenziatore abbandonato su un greto del fiume, un ovetto Kinder, una scatola di sgombri. Ma c’è anche spazio per una vera bomba dentro un bagno del Tribunale di Pordenone, il palazzo di giustizia che all’epoca indagava su alcuni degli episodi. Il movente è sempre rimasto incerto. Sicuramente si è trattato di una sfida e un gesto di rivalsa, le vittime erano sempre persone qualunque, veniva lasciato al caso scegliere chi avrebbe afferrato l’oggetto che gli sarebbe esploso in mano o in faccia. A tratti, però, Unabomber ha alzato il livello dello scontro, puntando contro le istituzioni che gli davano le caccia e contro il sistema dei consumi (colpiva nei supermercati…).

Che traccia può tornare utile all’inchiesta? L’avvocato Maurizio Paniz assisteva l’ingegnere Elvo Zornitta, bellunese abitante ad Azzano Decimo, in provincia di Pordenone, che venne indagato, ma poi la sua posizione fu archiviata non essendo emersi elementi decisivi neppure per avanzare una richiesta di rinvio a giudizio. “Sono felice come cittadino che si possa indagare ancora, come ho chiesto più volte, per arrivare all’individuazione del responsabile o dei responsabili – dice il legale – Però da allora è trascorso molto tempo e non ci sono prove nuove che siano emerse”. La possibilità di analizzare il capello trovato su un uovo, qualche traccia di saliva… “Per quanto ci riguarda, quei reperti vennero tutti confrontati con il Dna dell’ingegnere Zornitta e per nessuno fu accertata una compatibilità. Nel frattempo è stata istituita la banca dati del Dna, ma temo che sarà difficile trovare riscontri”.

Il procuratore De Nicolo non esclude nulla: “Verificheremo se da tutto il materiale organico allora repertato è stato estratto o meno il Dna. È possibile che in alcuni casi, con i metodi utilizzati allora, non fosse ritenuto estraibile, mentre con quelle attuali magari sì. Quindi dobbiamo constatare se c’è del materiale utilmente sottoponibile a indagini genetiche. Il materiale dall’archivio verrà trasferito in Procura e si procederà a un censimento dei reperti”.

Pessimista è anche Zornitta. “Adesso, francamente non mi aspetto nulla. Anch’io sono vittima di un’inchiesta che per me è diventata un incubo. Ho fatto causa allo Stato, ma non ho ricevuto finora un solo euro”. Dopo l’archiviazione della sua posizione, venne indagato e processato il poliziotto Ezio Zernar, che collaborava con il Centro indagini criminologiche della Procura di Venezia. Secondo l’accusa aveva alterato una prova, tagliando con una forbice di Zornitta, un lamierino che faceva parte di un ordigno inesploso di Unabomber. Poi aveva comparato forbice e tracce del taglio sul lamierino per stabilire, con il metodo dei toolmarks, che vi era una corrispondenza. La classica prova principe che avrebbe incastrato Zornitta, attaccandovi tutti gli indizi raccolti da un pool creato appositamente per individuare Unabomber che stava seminando il terrore nel Nordest. La difesa di Zernar aveva però scoperto la manipolazione. Zornitta fuori scena, nel tritacarne giudiziario era finito Zernar. La condanna penale però non ha portato al risarcimento per Zornitta, che si era costituito parte civile. “Ha ottenuto una condanna favorevole sia del ministero della Giustiza che del ministero dell’Interno a causa delle indagini manipolate – spiega l’avvocato Paniz – poi lo Stato ha fatto appello, ritenendo la somma eccessiva. Il risultato è che non abbiamo incassato ancora un euro”. Dall’archiviazione di Zornitta sono trascorsi 13 anni, dalla condanna definitiva di Zernar otto anni.