Un mini taglio del cuneo fiscale, la prospettiva di uno stop al reddito di cittadinanza per le persone potenzialmente occupabili, nulla sul salario minimo per legge. Nella prima legge di Bilancio del governo Meloni le misure su lavoro e stipendi si fermano qui. Anche al netto della scarsità di risorse e della necessità di dare priorità all’emergenza bollette, il pacchetto sembra non tener conto della realtà del mondo del lavoro. In Italia, ricorda l’ultimo rapporto Inapp, il 10,8% degli occupati è un “working poor, cioè ha uno stipendio inferiore alla soglia di povertà, l’8,7% dei lavoratori (subordinati e autonomi) percepisce una retribuzione annua lorda inferiore a 10mila euro e solo il 26% dichiara redditi annui superiori a 30mila euro, stipendi medi di gran lunga inferiori rispetto alla media europea. Un quadro – confermato anche dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia – in cui si inseriscono perfettamente le testimonianze raccolte dal fattoquotidiano.it, che raccontano le condizioni di lavoro subite da molti pur di avere un impiego che permetta loro di sopravvivere.

ADDETTO ALLA SICUREZZA PER 3,66 EURO L’ORA – “Mi sono trasferito a Milano dalla Sardegna per trovare lavoro. Quando sono arrivato ho trovato un lavoro come addetto alla sicurezza in un grande magazzino della città – racconta Pietro – Ho lavorato dalle 7.30 alle 23.30 con soli 30 minuti di pausa per un compenso di 3,66 euro all’ora. Era obbligatorio avere la barba perfettamente tagliata ogni giorno, pena la decurtazione di 4 ore dalla busta paga come multa. Speravo di trovare un lavoro pagato dignitosamente a Milano visto che in Sardegna spesso gli stipendi sono molto bassi, ma mi sono dovuto accontentare di questo per sopravvivere”.

40 ORE FULL TIME? RETRIBUITE IN MINIMA PARTE – Di storie di sfruttamento simili a quella che racconta Pietro ne esistono letteralmente a migliaia. Da Nord a Sud, sono moltissime le testimonianze di giovani e meno giovani costretti ad accettare proposte a condizioni molto lontane dall’essere accettabili. E in molti casi, si tratta di lavori solo parzialmente regolarizzati, dove a fronte di un monte orario anche ben più alto delle canoniche 40 ore di lavoro full time ne vengono contrattualizzate e retribuite solo una minima parte, permettendo al datore di lavoro di evadere tasse e contributi e di non versare le eventuali 13esima, 14esima e Tfr a cui avrebbe diritto il dipendente, oltre a ferie e malattia. E poi, c’è il lavoro totalmente in nero, una piaga di cui si sente parlare sempre troppo poco.

SEI GIORNI SU SETTE A 12 ORE PER 400 EURO – Valerio è siciliano e ha lavorato in un’azienda di infissi 12 ore al giorno per 5 giorni a settimana più ulteriori 8 ore il sabato. “Per il mio titolare il fatto che andassimo via ancora con la luce significava che avevamo lavorato solo mezza giornata, molti qui a Sud considerano 8 ore un part-time”. Lo stipendio? Ben 400 euro al mese. Praticamente 1,5 euro all’ora. “Ovviamente tutto in nero. Qui la messa in regola è un’utopia. Dicono sempre che noi giovani non vogliamo lavorare e non sappiamo cosa sia il sacrificio. La realtà è che non vogliamo fare gli schiavi”.

“HO PROTESTATO, MI HANNO DETTO CHE SONO GIOVANE” – Maddalena ha 23 anni e vive in provincia di Napoli. Nella sua vita ha dovuto accettare di tutto, anche lavorare 13 ore al giorno per 600 euro. Trovare altro sembra impossibile, perché in zona le condizioni proposte dai vari titolari sono tutte molto simili. “Sono andata a fare un colloquio di lavoro in un supermercato della mia zona. Mi hanno proposto 42 ore a settimana su due turni per 500 euro al mese come cassiera e commessa di reparto insieme. Ho protestato e ho detto che solo di affitto spendo 400 euro al mese, con uno stipendio del genere non mi sarebbero rimasti nemmeno i soldi per fare la spesa. La risposta del direttore? Ha detto che avrebbero dovuto testare le mie abilità e che comunque a 23 anni quella cifra andava bene”.

“LAVORAVO DI PIU’, LA PAGA (MISERA) ERA UGUALE” – Davide ha lavorato per due anni e mezzo come aiuto banconista e ragazzo delle consegne per un bar di Napoli, un tipo di lavoro che nella città partenopea viene costantemente ricercato. “Lavoravo su turni di 5 o 8 ore per sei giorni a settimana, ma la paga non cambiava in funzione di quante ore lavorassi. Prendevo 70 euro a settimana, 12 euro al giorno praticamente”. Parliamo di 1,5/2,4 euro all’ora, a seconda dei turni lavorati. Una vera e propria miseria.

TURNO SPEZZATO TRA LE 8 E LE 24 – Gabriele ha lavorato come cameriere in un pub, sempre in Campania. “Lavoravo dalle 8 del mattino alle 15 e poi ancora dalle 19 alle 24, anche se molto spesso si chiudeva più tardi perché soprattutto nel weekend i clienti tendevano a rimanere di più. La paga? 30 euro al giorno per entrambi i turni, tutto in nero e senza giorno di riposo. Praticamente lavoravo 360 ore al mese per 2,5 euro all’ora. La prima settimana di prova ho dovuto farla gratis perché il titolare la considerava formazione, quindi da non pagare”.

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