Nella manovra economica da 35 miliardi (21 dei quali destinati al caro energia) approvata dal Consiglio dei ministri, la tassazione sugli extraprofitti è uguale per tutte le società energetiche (senza alcuna distinzione tra fonti più o meno inquinanti), passando dal 25 al 35%, mentre riguarda solo le fonti rinnovabili un’altra misura proposta dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, ossia il tetto nazionale al prezzo dell’energia elettrica. Funziona così: se il prezzo supera il cap nazionale, ora fissato a 180 euro al megawattora, è lo Stato a incassare la differenza, almeno fino a giugno 2023. Attualmente i prezzi viaggiano dai 120 ai 300 euro con una certa volatilità e – anche se con un meccanismo diverso – vige già un altro limite, molto criticato dagli operatori del settore: è previsto un prelievo sugli extraprofitti se l’energia prodotta da rinnovabili è venduta a un prezzo superiore a circa 60/70 euro a megawattora.
“Manovra forte coi deboli” – Il ministro ha tenuto a sottolineare che le fonti rinnovabili “naturalmente non hanno un onere eccessivo di costo per la produzione” e che si tratta di “un tetto in questo caso molto alto”. D’altronde, ha ribadito, il settore “non è da penalizzare, ma bisogna evitare la speculazione che peserebbe sulle famiglie”. Il cap sul prezzo delle rinnovabili è la versione italiana della misura contenuta in un regolamento recentemente approvato dal Consiglio dell’Unione europea. Le perplessità, però, non mancano. “La manovra (nella quale si decreta anche il rinvio della plastic tax e il raddoppio dell’organico della Commissione Pnrr-Pniec, ndr) di cui la maggioranza va tanto fiera continua a perpetuare il principio del governo debole coi forti e forte coi deboli”, ha commentato il co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli.
Due pesi e due misure – Per Bonelli è una finanziaria “iniqua sul piano sociale perché mette il price cap alle rinnovabili salvando invece le fonti fossili, che sono responsabili dell’aumento dei prezzi energetici oltre che dei disastri ambientali che stiamo vivendo”. Secondo Michele Governatori, responsabile elettricità e gas di Ecco think tank, “limitare i margini di generazione con un cap di remunerazione a 180 euro a megawattora, in linea con l’indicazione Ue, è ragionevole, purché si applichi anche alle fonti fossili, quando la componente di costo di carbone e gas è inferiore al limite, come ora”. Per Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente, “nonostante il tetto massimo abbia un limite temporale e sia effettivamente alto, quindi non una cifra sconsiderata dal punto di vista tecnico, va osservato che questo limite si mette solamente alle rinnovabili e non alle fonti fossili, come gas e carbone. Questa è una prima stortura”. Tra gli obiettivi, tra l’altro, c’è quello di fermare le speculazioni sul mercato “che, notoriamente, avvengono proprio nel settore delle fonti fossili, in modo particolare sul gas in questo momento”. Due pesi e due misure, quindi.
I precedenti – E non è la prima volta: è accaduto anche con il meccanismo di compensazione a due vie e l’obbligo di versare la differenza tra i prezzi al 2022 e quelli medi dell’energia prodotta al 2020, che già penalizzava le rinnovabili. L’articolo 15-bis del decreto-legge 4/2022 imponeva, infatti, un cap ai ricavi di circa 60-70 euro a megawattora. La stessa tassa sugli extraprofitti, poi, ha creato diversi malumori, non solo tra gli operatori del settore. La tassa oggi è cresciuta ed è uguale per tutti, a prescindere dal tipo di fonte. “Su questo fronte non si fa la minima differenza tra fonti rinnovabili e fossili mentre dal nostro punto di vista dovrebbero avere una tassazione diversa, se il governo vuole davvero favorire le fonti rinnovabili per raggiungere determinati obiettivi climatici. E questa è una seconda stortura”, aggiunge Katiuscia Eroe.
Il contesto europeo – Il regolamento 2022/1854 sui prezzi dell’energia, infatti, ha fissato dal 1° dicembre un tetto sui ricavi di mercato a 180 euro a megawattora nei 27 Paesi dell’Unione per i produttori di energia elettrica, compresi gli intermediari, che utilizzano le cosiddette tecnologie inframarginali per produrre energia elettrica, come le energie rinnovabili, il nucleare e la lignite. Sono esentate le centrali elettriche alimentate a biometano e i progetti dimostrativi, mentre i singoli Paesi possono scegliere di non applicare il tetto ai produttori di energia elettrica con impianti fino a 1 megawatt di capacità. Ma, restando al contesto europeo, c’è chi ritiene che limitare temporaneamente le entrate dei produttori di elettricità inframarginali, catturando i profitti inaspettati dei produttori di energia rinnovabile che stanno beneficiando di bassi costi di produzione, “potrebbe finire per limitare le ambizioni di energia rinnovabile dell’Europa”. Lo spiega Rystad Energy, società norvegese indipendente che, in una ricerca, rivela che circa il 60% della capacità totale di energia rinnovabile installata in Ue “deriva i propri ricavi da contratti a tasso fisso stipulati ben prima della crisi energetica, con prezzi generalmente inferiori agli attuali prezzi spot”. E se la Commissione Ue stima che circa 117 miliardi di euro verrebbero probabilmente raccolti implementando un limite di entrate per la produzione di energia a basse emissioni di carbonio, “i profitti straordinari descritti dall’Ue rappresentano solo il 40% dei produttori di energia rinnovabile”, scrive Rystad. Da qui la necessità di politiche disegnate su misura a seconda dei Paesi e del tipo di impianti, per non correre il rischio di inviare un segnale negativo agli investitori.
Economia & Lobby
Manovra, il nuovo tetto al prezzo dell’energia vale per le rinnovabili e non per gas e carbone. Bonelli: “Governo iniquo e forte con i deboli”
La misura, proposta dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin in funzione anti-speculativa, funziona così: se il prezzo supera il cap nazionale, ora fissato a 180 euro al megawattora, è lo Stato a incassare la differenza, almeno fino a giugno 2023. Ma da Legambiente fanno notare l'incoerenza di non applicare lo stesso limite all'energia prodotta da fonti fossili, il mercato su cui si verificano le speculazioni maggiori
Nella manovra economica da 35 miliardi (21 dei quali destinati al caro energia) approvata dal Consiglio dei ministri, la tassazione sugli extraprofitti è uguale per tutte le società energetiche (senza alcuna distinzione tra fonti più o meno inquinanti), passando dal 25 al 35%, mentre riguarda solo le fonti rinnovabili un’altra misura proposta dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, ossia il tetto nazionale al prezzo dell’energia elettrica. Funziona così: se il prezzo supera il cap nazionale, ora fissato a 180 euro al megawattora, è lo Stato a incassare la differenza, almeno fino a giugno 2023. Attualmente i prezzi viaggiano dai 120 ai 300 euro con una certa volatilità e – anche se con un meccanismo diverso – vige già un altro limite, molto criticato dagli operatori del settore: è previsto un prelievo sugli extraprofitti se l’energia prodotta da rinnovabili è venduta a un prezzo superiore a circa 60/70 euro a megawattora.
“Manovra forte coi deboli” – Il ministro ha tenuto a sottolineare che le fonti rinnovabili “naturalmente non hanno un onere eccessivo di costo per la produzione” e che si tratta di “un tetto in questo caso molto alto”. D’altronde, ha ribadito, il settore “non è da penalizzare, ma bisogna evitare la speculazione che peserebbe sulle famiglie”. Il cap sul prezzo delle rinnovabili è la versione italiana della misura contenuta in un regolamento recentemente approvato dal Consiglio dell’Unione europea. Le perplessità, però, non mancano. “La manovra (nella quale si decreta anche il rinvio della plastic tax e il raddoppio dell’organico della Commissione Pnrr-Pniec, ndr) di cui la maggioranza va tanto fiera continua a perpetuare il principio del governo debole coi forti e forte coi deboli”, ha commentato il co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli.
Due pesi e due misure – Per Bonelli è una finanziaria “iniqua sul piano sociale perché mette il price cap alle rinnovabili salvando invece le fonti fossili, che sono responsabili dell’aumento dei prezzi energetici oltre che dei disastri ambientali che stiamo vivendo”. Secondo Michele Governatori, responsabile elettricità e gas di Ecco think tank, “limitare i margini di generazione con un cap di remunerazione a 180 euro a megawattora, in linea con l’indicazione Ue, è ragionevole, purché si applichi anche alle fonti fossili, quando la componente di costo di carbone e gas è inferiore al limite, come ora”. Per Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente, “nonostante il tetto massimo abbia un limite temporale e sia effettivamente alto, quindi non una cifra sconsiderata dal punto di vista tecnico, va osservato che questo limite si mette solamente alle rinnovabili e non alle fonti fossili, come gas e carbone. Questa è una prima stortura”. Tra gli obiettivi, tra l’altro, c’è quello di fermare le speculazioni sul mercato “che, notoriamente, avvengono proprio nel settore delle fonti fossili, in modo particolare sul gas in questo momento”. Due pesi e due misure, quindi.
I precedenti – E non è la prima volta: è accaduto anche con il meccanismo di compensazione a due vie e l’obbligo di versare la differenza tra i prezzi al 2022 e quelli medi dell’energia prodotta al 2020, che già penalizzava le rinnovabili. L’articolo 15-bis del decreto-legge 4/2022 imponeva, infatti, un cap ai ricavi di circa 60-70 euro a megawattora. La stessa tassa sugli extraprofitti, poi, ha creato diversi malumori, non solo tra gli operatori del settore. La tassa oggi è cresciuta ed è uguale per tutti, a prescindere dal tipo di fonte. “Su questo fronte non si fa la minima differenza tra fonti rinnovabili e fossili mentre dal nostro punto di vista dovrebbero avere una tassazione diversa, se il governo vuole davvero favorire le fonti rinnovabili per raggiungere determinati obiettivi climatici. E questa è una seconda stortura”, aggiunge Katiuscia Eroe.
Il contesto europeo – Il regolamento 2022/1854 sui prezzi dell’energia, infatti, ha fissato dal 1° dicembre un tetto sui ricavi di mercato a 180 euro a megawattora nei 27 Paesi dell’Unione per i produttori di energia elettrica, compresi gli intermediari, che utilizzano le cosiddette tecnologie inframarginali per produrre energia elettrica, come le energie rinnovabili, il nucleare e la lignite. Sono esentate le centrali elettriche alimentate a biometano e i progetti dimostrativi, mentre i singoli Paesi possono scegliere di non applicare il tetto ai produttori di energia elettrica con impianti fino a 1 megawatt di capacità. Ma, restando al contesto europeo, c’è chi ritiene che limitare temporaneamente le entrate dei produttori di elettricità inframarginali, catturando i profitti inaspettati dei produttori di energia rinnovabile che stanno beneficiando di bassi costi di produzione, “potrebbe finire per limitare le ambizioni di energia rinnovabile dell’Europa”. Lo spiega Rystad Energy, società norvegese indipendente che, in una ricerca, rivela che circa il 60% della capacità totale di energia rinnovabile installata in Ue “deriva i propri ricavi da contratti a tasso fisso stipulati ben prima della crisi energetica, con prezzi generalmente inferiori agli attuali prezzi spot”. E se la Commissione Ue stima che circa 117 miliardi di euro verrebbero probabilmente raccolti implementando un limite di entrate per la produzione di energia a basse emissioni di carbonio, “i profitti straordinari descritti dall’Ue rappresentano solo il 40% dei produttori di energia rinnovabile”, scrive Rystad. Da qui la necessità di politiche disegnate su misura a seconda dei Paesi e del tipo di impianti, per non correre il rischio di inviare un segnale negativo agli investitori.
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Fdi riunisce la Direzione e lancia il sondaggio agli iscritti: “Volete la piazza anti-magistrati?”. Il dossier complottista del partito su Almasri
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - “Desidero esprimere la mia totale solidarietà al Presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, professionista di comprovata competenza e integrità, recentemente bersaglio di un attacco inaccettabile da parte del Senatore Zaffini. Non dovrebbe essere necessario ricordare che la Fondazione GIMBE svolge un ruolo essenziale nel garantire analisi indipendenti e basate su evidenze scientifiche nel settore della sanità pubblica. Analisi che non solo aiutano l’opinione pubblica a comprendere la realtà dei fatti, ma forniscono strumenti indispensabili proprio a noi parlamentari per svolgere il nostro lavoro con cognizione di causa". Lo scrive in una nota la senatrice del Pd Susanna Camusso.
Ma ormai chiunque osi dissentire con l’operato del Governo Meloni – scienziati, magistrati, professori, giornalisti – viene puntualmente delegittimato. Peccato che sia lo stesso Presidente Zaffini ad ammettere che su sei decreti attuativi promessi per smaltire le liste d’attesa, sia stato approvato solo quello sul funzionamento della piattaforma nazionale di monitoraggio. La colpa? Dipende dal giorno: molto spesso è dei governi precedenti – nonostante la destra governi da tre anni – altre volte, come in questo caso, delle Regioni - nonostante la stessa destra stia spingendo per l’Autonomia. Mentre milioni di italiani non possono curarsi e il SSN è al collasso, il governo continua a giocare a scaricabarile, additando nemici immaginari e scaricando le colpe su chiunque tranne che su sé stesso”.
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - "Dopo il record di 150.000 iscritti, Forza Italia rafforza il suo radicamento sul territorio con l’avvio della stagione dei Congressi Comunali e Circoscrizionali. Si parte da 9 regioni per eleggere i nuovi segretari comunali e circoscrizionali, in un percorso di partecipazione e crescita che coinvolgerà tutta Italia". Lo scrive Forza Italia sui suoi profili social.
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - "Rispondo a chi ogni tanto ci accusa di non avere una visione. Certo che ce l'abbiamo, anche bella forte. Magari a qualcuno non piace, non sarà quello che si aspettavano dal Pd di prima, ma oggi il Pd è autodeterminato in questa direzione". In mezzo al dibattito su 'meglio presentarsi uniti o divisi per colpire uniti', innescato dalla proposta di Dario Franceschini, Elly Schlein continua a insistere sui temi piuttosto che sui tatticismi. E rilancia la visione del 'suo' Pd a fronte di perplessità, più o meno esplicite, avanzate nei suoi confronti nell'ultimo periodo.
"La giustizia sociale, la giustizia climatica, il lavoro dignitoso, l'innovazione, i diritti delle persone", elenca la segretaria dal palco della prima iniziativa col Terzo Settore (previste altre 4 a febbraio) a Monterotondo. Come aveva fatto la settimana scorsa davanti all'ospedale di Vicenza per parlare di sanità o con gli operai a Marghera o quelli della crisi Beko su lavoro e politiche industriali.
Alla questione aperta da Franceschini, Schlein ha però dato una risposta l'altra sera a Piazza Pulita dopo giorni di silenzi, conditi da freddezza dell'inner circle della segretaria. Andare divisi per colpire uniti? "Io continuo a insistere, sono testardamente unitaria", la risposta di Schlein. Insomma, nonostante al momento non vi siano passi avanti nella costruzione dell'alleanza, lo schema della segretaria non cambia. Resta 'testardamente unitario'. "Ce lo chiede la gente", la tesi di Schlein. Il sondaggio mandato in onda durante la trasmissione pare darle ragione con quasi l'80% degli elettori di centrosinistra a invocare un accordo tra le opposizioni.
Un accordo che però non c'è e la proposta di Franceschini ha avuto anche l'effetto di evidenziare ulteriormente le resistenze rispetto a un'alleanza organica. Basta leggere l'elenco di quelli che hanno promosso o quanto meno si sono detti interessati alla possibilità di 'marciare divisi, per poi colpire uniti' dopo il voto: da Carlo Calenda a Giuseppe Conte. Chi invece non è sembra interessato, è Romano Prodi che in una lunga intervista avverte: "Senza un programma condiviso non è politica, ma solo cinismo. Si possono anche vincere le elezioni, ma si uccide il Paese”.
"Ma come si può fare questo discorso due anni e mezzo prima delle elezioni?", si chiede Prodi. "Potrebbe essere l'ultima spiaggia alla vigilia del voto. Ma se partiamo dall'idea che non ci si può mettere d'accordo su un programma, mi pare difficile vincere le elezioni". L'Ulivo non è più riproponibile, aggiunge, "quel che si può fare è cercare quattro grandi problemi sui quali trovare una visione comune: sanità, casa, scuola, lavoro".
Non basta solo criticare: "Politica è dire quel che serve all'Italia per la distribuzione del reddito, la sanità, la casa. Non dire solo che mancano le risorse, ma dire come vanno riformati gli ospedali, i medici di base, le case di comunità". Chi può riuscire a federare il campo delle opposizioni in ordine sparso? Per Prodi la risposta è aperta: "Il problema è vedere chi è in grado di federare. Quel ruolo si conquista, non è dato. La competizione è aperta per tutti, Schlein e altri".
Tel Aviv, 1 feb. (Adnkronos) - Il primo ministro Benjamin Netanyahu sta valutando la possibilità di nominare il ministro degli Affari strategici Ron Dermer a capo del team negoziale di Israele per i colloqui sugli ostaggi con Hamas, secondo le notizie di Channel 12. Subentrerebbe al ruolo del capo del Mossad David Barnea. Secondo quanto riferito, Barnea resterebbe nella squadra insieme al capo dello Shin Bet Ronen Bar e all'uomo chiave per la presa degli ostaggi delle Idf Nitzan Alon, con Dermer a supervisionare i colloqui.
I funzionari israeliani hanno dichiarato che Netanyahu riconosce che i negoziatori vogliono fare tutto il possibile per garantire che la seconda fase dell'accordo sulla restituzione degli ostaggi con Hamas abbia luogo, e il premier vuole mantenere aperte le sue opzioni. Secondo Channel 12, i funzionari del team di Netanyahu affermano che, poiché i colloqui principali si stanno svolgendo con l'amministrazione Trump, dovrebbero essere guidati da qualcuno con una formazione più diplomatica, che non nella sicurezza.
Sembra che l'inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, abbia detto a Netanyahu che preferirebbe lavorare con Dermer e che ha delle riserve sulla collaborazione con l'attuale team negoziale. Witkoff e Netanyahu hanno parlato oggi, ha riferito Channel 12, aggiungendo che il primo ministro israeliano terrà un incontro stasera per decidere se inviare una delegazione di medio livello in Qatar questa settimana. In risposta, l'ufficio di Netanyahu ha affermato che "i resoconti non sono veri" e che "le decisioni sui negoziati saranno prese solo dopo il ritorno del primo ministro dagli Stati Uniti".
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - “Ieri è stato l’ultimo giorno di lavoro di dipendenti e dirigenti Rai a viale Mazzini. Lo storico palazzo, simbolo del Servizio Pubblico, che dagli anni 60 rappresenta la Rai, chiuderà per essere interessato da importanti ed ampi lavori di ristrutturazione". Lo dichiarano i componenti di Fratelli d’Italia della Commissione Vigilanza Rai.
"Interventi che consentiranno alla Rai di usufruire di una sede moderna, digitale e all’avanguardia, capace così di confrontarsi con un mercato televisivo sempre più competitivo. È un merito di questa dirigenza che oltre a garantire un sempre più ampio pluralismo, così come si pretende dal Servizio pubblico, un’offerta e una qualità nella programmazione, adesso garantirà alla Rai anche strutture di prim’ordine. Infatti, la sede di viale Mazzini si affiancherà al nuovo centro di produzione a Milano che sarà uno dei più avanzati in Europa. Al contempo va rivolto un vivo ringraziamento ai dipendenti Rai, che stanno affrontando con grande impegno e dedizione questo significativo momento di passaggio, che servirà a costruire il Servizio pubblico del futuro”.
Ramallah, 1 feb. (Adnkronos) - Le forze israeliane hanno arrestato due giornalisti palestinesi e sequestrato la loro attrezzatura nella città di Beit Ummar, a nord di Hebron, in Cisgiordania. Lo riporta l'agenzia di stampa palestinese Wafa, citando il giornalista Ihab al-Alami, che ha riferito, dopo essere stato rilasciato, che "lui e il suo collega, Nidal al-Natsheh, sono stati arrestati dai soldati israeliani mentre documentavano i danni su terreni di proprietà palestinese vicino all'insediamento israeliano illegale di Karmei Tzur". I soldati hanno sequestrato tre telecamere prima di costringerli ad abbandonare la zona, ha aggiunto il reporter.
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - "Oggi a Roma si è svolta la Direzione Nazionale di Fratelli d'Italia, un momento di confronto interno al partito in vista del giro di boa della metà legislatura. Non si è trattato, evidentemente, di una seduta del Consiglio dei Ministri, un dettaglio che i deputati di Italia Viva, cui resta solo la polemica, potrebbero facilmente cogliere solo sfogliando un qualsiasi manuale di diritto costituzionale". Così Antonio Baldelli, deputato di Fratelli d'Italia, risponde alle polemiche sollevate da Italia Viva sull'assenza del Presidente del Consiglio all'assemblea di FdI e sulla presenza del capo della segreteria politica, Arianna Meloni.