Nella manovra per il 2023 entra una nuova tornata di decontribuzioni con l’obiettivo di invogliare le imprese – in un anno che nel migliore dei casi vedrà l’economia ristagnare – a continuare ad assumere. “Più assumi meno paghi”, ha scandito la premier Giorgia Meloni in conferenza stampa, riprendendo lo slogan della campagna elettorale e spiegando che verranno azzerati (fino a un limite di 6mila euro annui) i contributi pagati da chi assume “giovani under 35, donne, percettori del reddito di cittadinanza” a patto che l’azienda effettivamente allarghi la forza lavoro (“non vale per chi licenzia qualcuno e assume qualcun altro”) o converta contratti a termine in rapporti stabili. Questi interventi, però, sono tutt’altro che novità: si tratta nella totalità dei casi di misure prese in prestito dai governi Conte 1 e 2.
“Attendiamo di vedere il testo, ma stando agli annunci gli incentivi che il governo proporrà in legge di Bilancio ricalcheranno quelli inseriti nella manovra per il 2021 (governo Conte, ndr), che prevedevano un biennio di esonero totale della quota datoriale per assunzioni e trasformazioni”, spiega Giuseppe Buscema, esperto della Fondazione studi consulenti del lavoro. “Quella decontribuzione è stata operativa fino al 30 giugno 2022, quando è scaduta per mancanza di autorizzazione da parte della Commissione”. Ora “si vuole riproporre”, continua l’esperto. Anche in questo caso a beneficiarne saranno le donne “svantaggiate” (disoccupate da almeno due anni o, se over 50, da oltre 12 mesi) e i giovani under 36 che non abbiano mai avuto un lavoro a tempo indeterminato. Non è ancora chiaro se verranno agevolati anche i contratti a termine, come accaduto nello scorso biennio con il risultato che buona parte degli incentivi pubblici – come rilevato dall’Inapp – è andata ad alimentare il precariato e il part time involontario.
In più la neo ministra del Lavoro, Elvira Calderone, ha detto di aver già notificato alla Commissione l’intenzione di portare avanti anche nel 2023 la Decontribuzione Sud, un’altra misura risalente al 2020 che riduce del 30% (la percentuale cala negli anni successivi) i contributi dovuti per tutti i lavoratori delle aziende con sedi nel Mezzogiorno, senza limiti di età. Anche in questo caso Meloni replica un intervento di Conte, i cui risultati non sono stati certo brillanti nel rendere meno precario il mercato del lavoro: più di metà degli 1,1 milioni di posti creati lo scorso anno grazie all’incentivo sono a termine e un altro 18% è stagionale.
E non è una novità nemmeno la decontribuzione per chi assume beneficiari del reddito di cittadinanza, intervento che nelle intenzioni dovrebbe ridurre la platea dei percettori “occupabili” ai quali il nuovo esecutivo nel 2023 intende togliere l’aiuto dopo 8 mesi di fruizione. “Su questo già il decreto 4 del 2019 che ha istituito il rdc prevede un esonero contributivo senza scadenza”, ricorda Buscema. Lo sgravio, che spetta ai datori che abbiano cercato un addetto attraverso la Piattaforma digitale Anpal dedicata al Rdc e lo assumano a tempo indeterminato o in apprendistato, è pari alla differenza tra 18 mensilità di rdc e quelle già godute dal percettore prima dell’assunzione. Quindi, sulla carta, già oggi le aziende hanno a disposizione un incentivo potenzialmente maggiore rispetto ai 6mila euro massimi che dovrebbero essere previsti dalla legge di Bilancio: inserendo un percettore che ha ricevuto il reddito per 8 mesi possono incassare uno sgravio di quasi 8mila euro.