Lo studio legale che invia raccomandate fotocopia per avere risarcimenti per gli insulti social ai politici querela una maestra elementare per un commento ritenuto diffamatorio. Salvo doversi scusare: non aveva capito a chi si riferisse. La vittima dell'errore: "Una cosa gravissima, voglio andare fino in fondo"
La “fabbrica dei risarcimenti” per leghisti offesi è impazzita, fuori controllo. Piovono querele come bulloni, e non si sa se chiamare il 115 o il 118. Il caso più incredibile è appena capitato a una maestra elementare di Genova che si è vista recapitare una richiesta danni da 7mila euro, ma ad andarci di mezzo sarà chi l’ha fatta, il leghista e già vicepresidente della Commissione Giustizia Riccardo Augusto Marchetti. Come Pillon, Lucidi, Golinelli e altri si era rivolto allo studio Virgili di Modena, quello che pretende di riabilitare la “reputazione offesa” degli onorevoli clienti a suon di soldoni, solo pagati i quali, gli autori dei post ritenuti diffamatori vedranno decadere le minacce di agire contro di loro in sede civile e penale. Una pratica che il Fatto ha criticato, non per il sacrosanto diritto a non essere insultati via social, quanto per le modalità spregiudicate con cui viene condotta, una “pesca a strascico”, a mezzo di raccomandate-fotocopia, per trasformare un vecchio commento ritenuto offensivo in opportunità di guadagno. Previa trattativa sulle somme da versare, che si conclude per altro con l’imposizione di una clausola di riservatezza espressa. Zitto e paga, insomma. Senza passare dal giudice.
L’invio massivo di richieste danni, come avviene nelle migliori fabbriche, non è esente da “errori di produzione”. Alcuni tanto assurdi da rivelarne la natura non proprio equitativa quanto predatoria. Il 29 luglio scorso, l’onorevole Riccardo Marchetti commentava sulla sua pagina Facebook una vicenda di cronaca di cui tutta l’Italia parla: la feroce uccisione di un ragazzo nigeriano a Civitanova Marche. Marchetti è anche commissario della Lega nelle Marche e dice la sua: “Quando noi andremo al governo, non capiterà più”. Una maestra di Genova commenta “Chissà per chi avrà votato questo criminale”, intendendo chiaramente l’autore dell’omicidio, un italiano di 32 anni poi arrestato. Ma la legge si sa, non ammette ignoranza. L’italiano, purtroppo, sì.
Passano tre mesi e il 31 ottobre la signora riceve una telefonata dalla polizia postale di Genova. Gli agenti le intimano di recarsi lì per l’identificazione: scoprirà infatti che l’onorevole l’ha denunciata penalmente per “diffamazione aggravata” a causa di quel commento. A confermarlo, l’indomani, è una raccomandata a firma dell’avvocato Giorgio Virgili che informa l’insegnante di aver già depositato una denuncia penale nei suoi confronti, le chiede “sin d’ora di pagare a titolo di risarcimento del danno, oltre ad interessi, rivalutazioni e spese legali” ben 7mila euro. La lettera avverte: in caso di mancata risposta entro 8 giorni, “il nostro assistito procederà in sede civile”.
La signora manco ricordava più quel commento, così corre a rileggerlo e lo trova ancora lì, testuale: “Chissà per chi ha votato questo criminale”, l’unica cosa cambiata sono i nove like che nel frattempo ha ricevuto. Lo rilegge e resta interdetta: neppure i suoi alunni delle elementari, pensa, avrebbero potuto fraintendere il soggetto e riferire l’aggettivo “criminale” all’onorevole autore del commento anziché al disonorevole criminale autore effettivo del delitto.
Sembra una barzelletta ma per la signora è una faccenda serissima. Compone subito il numero dello studio legale di Modena, parla personalmente con l’avvocato Giorgio Virgili. Gli spiega per filo e per segno che hanno preso un granchio clamoroso: hanno denunciato la persona sbagliata. L’altro inizialmente non le crede, poi apre l’incartamento e si rende conto non solo del clamoroso errore con cui ha trascinato la persona sbagliata negli ingranaggi della sua fabbrica delle querele, ma della figura barbina che rischia di fare il suo stesso cliente, per altro incaricato di presiedere una commissione parlamentare sulla Giustizia. Un duro colpo, stavolta vero, alla reputazione del politico.
L’onorevole Marchetti cade dalle nuvole. “Ma davvero? Non ne sapevo niente, giuro. Se è come dice lei mi scuso con la signora. Mi sono affidato a questo studio che so che tutela i parlamentari che vengono insultati via social, so che sono partite 15 querele, ma certo non lo faccio per far cassa sulla pelle delle persone sbagliate e anzi, ho già detto che se entra un centesimo lo do in beneficienza. Chiamerò subito per verificare, anche perché il legale agisce in mio nome”.
Il legale però non ha riferito al cliente d’aver già ammesso l’errore con apposita pec di conferma, in cui si legge: “Per confermarle che la pratica nei Suoi confronti verrà definitivamente archiviata visto l’errore interpretativo relativo al commento Facebook da Lei pubblicato. Ritenuta credibile la sua versione in ordine alla riferibilità del commento, procedo con l’archiviare la pratica rinunciando e ritirando ogni azione nei suoi confronti”. Il legale scrive quasi fosse il giudice, che può archiviare, ma è la postale stessa a spiegare alla vittima dell’errore che non è così. La donna infatti è stata denunciata ed è a tutti gli effetti indagata dalla Procura, ragion per cui non basterà stracciare la raccomandata, perché la remissione va fatta formalmente, recandosi dai carabinieri che la comunicheranno al pm.
In tutto questo, la signora fa presente di aver dovuto consultare dei legali, di aver perso due giorni e varie notti in bianco per via di quella denuncia per errore, e non intende lasciar correre. “Ancora oggi mi domando cosa mai sarebbe successo se quella raccomandata così minacciosa l’avesse aperta una persona con un livello d’istruzione più basso, come mia madre per dire, che ha la quinta elementare, o una persona più fragile. Leggendo che un parlamentare chiede 7mila euro sull’unghia sennò ti denuncia in sede civile c’è caso che qualcuno la prenda peggio e faccia una sciocchezza. Trovo tutto questo imperdonabile e cercherò in ogni modo di mettere un paletto, dovessi anche denunciare l’onorevole che con una lite temeraria ha assecondato questo metodo grave e assurdo di minacciare azioni giudiziarie per avere soldi, anche quando non si è in grado di comprendere l’italiano, di mettere in fila soggetto, verbo e predicato come sanno i miei bambini. L’Ocse dice che i nostri ragazzi non capiscono ciò che leggono, ma a quanto pare neppure gli avvocati e i politici. Sarà perché siamo un paese meraviglioso. Ma le scuse non bastano”.