È durata pochi giorni la verità di Matteo Piantedosi, appena il tempo necessario a mettere in fila le mail delle navi ong che smentiscono quanto il ministro dell’Interno ha riferito in Parlamento lo scorso 16 novembre. Dopo le comunicazioni di Medici Senza Frontiere pubblicate da ilfattoquotidiano.it, ecco ora le mail della Humanity 1 della ong tedesca SOS Humanity. Che ricostruiscono uno dei tre soccorsi operati a fine ottobre, confermano come le autorità italiane fossero al corrente delle operazioni fin dalle prime fasi e respingono al mittente le accuse di attività svolte “in piena autonomia” mosse dal ministro. Di più: mentre non rispondeva alle navi umanitarie che chiedevano istruzioni, l’Italia ha sollecitato la Germania in quanto Stato di bandiera e chiesto al ministero degli Esteri tedesco informazioni “sulle persone a bordo”. Informazioni di cui era già in possesso. Altro tassello di un azzardo giuridico e diplomatico che, insieme alla crisi tra Roma e Parigi, ad ora non ha portato risultati, se non una serie di proposte della commissaria Ue agli Affari interni Ylva Johansson in vista del Consiglio straordinario dei ministri dell’Interno del prossimo 25 novembre.

Dopo le mail della Geo Barents di Msf, SOS Humanity consegna a ilfattoquotidiano.it le comunicazioni che la nave Humanity 1 ha inviato durante il soccorso del 24 ottobre, concluso con il salvataggio di 113 persone in zona SAR libica. La prima mail comunica agli Stati costieri e a quello di bandiera la ricezione dell’allarme inviato alle 4.05 del mattino da Alarm Phone, il principale canale di segnalazioni di imbarcazioni in pericolo. Oltre alle coordinate, viene segnalata la presenza di circa 100 persone e di altre già cadute in mare. Lo stesso allarme è stato ricevuto dagli Stati costieri, ai quali alle ore 7.19 il capitano della Humanity comunica la disponibilità a portarsi sul posto. A ricevere la mail sono i Centri di coordinamento del soccorso marittimo di Libia, Malta, Italia e, per conoscenza, quello della Germania. Agli Stati la normativa internazionale affida il coordinamento delle operazioni di soccorso, che compete innanzitutto al Paese cui appartiene la zona SAR (search and rescue), in questo caso la Libia. Che però non possiede un centro di coordinamento unico e per consuetudine non risponde alle ong. La normativa impone agli altri Stati la cooperazione e in caso di mancato intervento da parte dello Stato competente, di coordinare i soccorsi perché si concludano nel minor tempo possibile e nel porto sicuro raggiungibile nel minore tempo ragionevolmente possibile. Insomma, non è consentito non rispondere a una comunicazione di soccorso in mare, come ribadiscono anche gli emendamenti introdotti nel 2004 alle Convenzioni SAR e SOLAS che l’Italia, a differenza di Malta, ha sottoscritto. Ma come già spiegato al Fatto da Msf, “nel 99% dei casi non risponde nessuno”. E nemmeno questa volta fa eccezione.

Non ricevendo istruzioni dagli Stati, il capitano della Humanity 1, adempiendo a un obbligo legale dirige verso le coordinate ricevute. Una volta sul posto – sono le ore 12.15 – comunica l’avvistamento dell’imbarcazione e conferma la condizione di pericolo: la barca “non è capace di navigare, è sovraffollata, le persone sono in grave pericolo e prive di giubbotti di salvataggio”, scrive. Vista la situazione, “intendo procedere per fornire assistenza, come imposto dalla normativa”, che cita dettagliatamente. E chiude pregando i destinatari di dare immediato riscontro. Mezz’ora dopo segue un rapporto del sopralluogo delle lance messe in acqua: “Persone in mare e motore fuori uso“, si legge prima della conferma che “la Humanity 1 soccorrerà immediatamente le persone in pericolo”. E’ la terza mail senza risposte e così sarà anche per la quarta, inviata a recupero ultimato. Un soccorso era stato effettuato appena due giorni prima e lo stesso 24 ottobre ne seguirà un altro. Alla fine, come riporta la mail del 25 ottobre, a bordo ci sono 180 persone, di cui 97 minori non accompagnati e un neonato recuperati nel soccorso descritto dalle mail pubblicate. Questa quinta comunicazione serve a chiedere un porto sicuro (place of safety o POS), come già fatto il 23 ottobre dopo il primo soccorso del 22. Dal centro di coordinamento italiano (MRCC) la risposta è sempre la stessa: “Vi informiamo che la vostra richiesta è stata inoltrata all’autorità nazionale competente. Inoltre, questo MRCC evidenzia che gli eventi, di cui alla vostra ultima comunicazione, si sono verificati al di fuori della SRR italiana e non sotto il coordinamento del MRCC di Roma“.

Questi i fatti. Presenti solo in parte nella versione che il ministro Piantedosi fornirà al Parlamento il 16 novembre: “Il 24 ottobre, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, con una nota verbale indirizzata alla Repubblica federale tedesca, Stato di bandiera, ha sottolineato che gli interventi di recupero dei migranti erano stati svolti dalla nave in piena autonomia e in modo sistematico in aree SAR libica e maltese, senza ricevere indicazioni dalle autorità statali responsabili delle predette aree, informate, al pari dell’Italia, solo a operazioni avvenute“. E se da un lato ci sono la ricostruzione offerta ai parlamentari e l’accusa infondata alla nave di aver informato gli Stati solo a cose fatte, dall’altro ci sono le omissioni nelle comunicazioni con la Germania. “Il 2 novembre – riferisce Piantedosi in Parlamento – ho rappresentato al nostro Ministero degli Esteri l’esigenza di mantenere aperte le interlocuzioni con la Germania, al fine di sollecitare l’esercizio della sua giurisdizione sulla stessa nave e acquisire informazioni sulle persone a bordo“. Lo stesso giorno la Farnesina chiede le stesse cose anche all’Ambasciata tedesca in Italia. Per lo più si tratta di informazioni già in possesso degli Stati, perché contenute nelle mail della nave inviate ai centri di coordinamento, compreso quello italiano che fa parte del ministero di Trasporti e Infrastrutture di Matteo Salvini. Della risposta tedesca sappiamo quanto riferisce lo stesso Piantedosi: “Il 2 novembre, l’Ambasciata tedesca, negando ogni responsabilità dello Stato di bandiera, ha chiesto al nostro Ministero degli Esteri di fornire un sollecito supporto allo sbarco in un porto italiano delle persone a bordo della nave ONG, invocando il rispetto delle Convenzioni internazionali in materia”.

Le prime indicazioni alla Humanity da parte dell’Italia arrivano appena il 4 novembre, 13 giorni dopo la prima richiesta di POS agli Stati. “Ma invece di assegnare un luogo sicuro per i sopravvissuti, come è dovere legale dell’Italia, la Humanity 1 riceve un decreto illegale dal governo italiano”, sostiene al Fatto SOS Humanity riferendosi al decreto interministeriale sugli sbarchi selettivi imposto anche alla Geo Barents di Msf nel porto di Catania e contro il quale le due ong hanno fatto ricorso al Tar del Lazio. Le pressioni sulla Germania perché coordinasse le operazioni sono coerenti con la richiesta dell’Italia di un maggiore coinvolgimento degli Stati di bandiera. E tra le 20 azioni proposte dalla commissaria Ue Johansson c’è anche un “approccio più coordinato alla ricerca e al soccorso” in mare. Proposta della quale Piantedosi si è detto soddisfatto e che finirà sul tavolo del Consiglio straordinario che lo vedrà protagonista insieme agli altri ministri dell’Interno europei. Ma in materia di immigrazione gli Stati non hanno quasi mai ascoltato la Commissione, come dimostra il Patto per l’immigrazione, in attesa di approvazione e da anni incagliato a Bruxelles su dossier come la ricollocazione dei richiedenti asilo e la riforma del regolamento di Dublino. Così resta da vedere cosa risponderanno i partner europei agli Stati costieri del Sud (Grecia, Cipro, Malta e Italia) firmatari di un recente documento dal quale la Spagna si è sfilata: “Madrid non può sostenere proposte che premierebbero i Paesi che non rispettano i loro obblighi in termini di diritto marittimo internazionale”. Diritto che nemmeno un’Unione europea finalmente d’accordo potrebbe cambiare da sola perché si tratta appunto di Convenzioni internazionali. Saranno gli Stati di bandiera, dunque, a dover offrire la loro collaborazione, permettendo così a quelli costieri come l’Italia di derogare almeno in parte agli obblighi prescritti dalle norme internazionali. Sempre che intendano passare sopra alle recenti violazioni, bugie e omissioni.

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