Domenica si è giocata Ungheria-Grecia: la partita si è conclusa sul 2-1, con i magiari che hanno portato a casa il successo negli ultimi minuti di gioco. Ma a fare rumore non è stato il risultato, d’altra parte si stava parlando di un’amichevole, ma la sciarpa indossata dal premier di Budapest Viktor Orban che riportava una mappa del Regno d’Ungheria. Qualcuno l’ha chiamata “Grande Ungheria”, ma in realtà i sostenitori preferiscono parlare di “Vecchia Ungheria”, cioè di come era il loro Paese prima della sconfitta nella Prima Guerra Mondiale, esattamente nel novembre di 104 anni fa, ma soprattutto prima del trattato firmato il 4 giugno 1920 nel palazzo del Grand Trianon di Versailles. L’accordo toglieva a Budapest la Slovacchia, la Rutenia subcarpatica (oggi oblast transcarpatico dell’Ucraina), Transilvania, Croazia, Slavonia, Voivodina, Fiume e Burgenland. Di quello che era stato un regno con quasi 20 milioni di abitanti e una superficie pari all’Italia, restavano meno della metà della popolazione e un terzo del territorio. Parliamo di territori spesso abitati solo da minoranze etnicamente magiare, ma di cui gli ungheresi erano stati i dominatori anche per quasi ottocento anni.
La mossa di Orban ha scatenato la reazione in primis dell’Ucraina che ha annunciato la convocazione dell’ambasciatore ungherese chiedendo le scuse del governo. In una nota su Facebook, il portavoce del ministero degli Esteri di Kiev, Oleg Nikolenko, ha scritto: “La promozione di idee revisioniste in Ungheria non contribuisce allo sviluppo delle relazioni ucraino-ungheresi e non è conforme ai principi della politica europea”. Il premier si è limitato a replicare chiedendo a Kiev di non mischiare politica e calcio: “Il calcio non è politica, non vediamo quello che non c’è”, ha scritto sulla sua pagina Facebook. “La nazionale ungherese è la squadra di tutti gli ungheresi, ovunque essi vivano”.
Le rivendicazioni di Budapest sono così destabilizzanti da far sembrare, se messe in atto, la dissoluzione della Jugoslavia una passeggiata nel parco: coinvolgono tutti i Paesi attorno alla Pannonia, la pianura rimasta agli ungheresi dopo il famigerato Trianon, attirano l’attenzione della Russia certamente più di una guerra fra Serbia e Kosovo, mettono in crisi la compattezza della Nato più delle tensioni fra Turchia e Grecia.
Il 2022 si era aperto per gli ungheresi con la speranza di poter attuare almeno in parte il loro piano di restaurazione della “Vecchia Ungheria”, con la prospettiva di vedersi calare dal cielo la Rutenia transcarpatica a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, occupando la Transcarpazia ufficialmente per sottrarla alle mire del Cremlino e tenerla nella Nato. Gli anglosassoni direbbero che Putin e Orban, pur non dormendo nello stesso letto, facevano gli stessi sogni. Bada caso quando i giornali hanno cominciato a parlare di questa strana liaison, i russi hanno lanciato l’unico attacco missilistico a ovest dei Carpazi.
Così, da mesi il leader ungherese non cessa di soffiare sul fuoco del nazionalismo magiaro denunciando la perdita dello sbocco sul mare (attraverso territori che oggi costituiscono la Croazia), la persecuzione delle minoranze in Romania e la necessità per l’Ungheria di mantenere ottime relazioni con Russia e Cina. Musica per le orecchie di Putin. Insomma, Orban in questo momento fa ballare in mano un sasso, quello della revisione dei confini dell’Europa centro-orientale, che se lanciato innescherebbe una reazione a catena devastante: dalle guerre balcaniche degli anni Dieci venne la scintilla che incendiò poi l’intera Europa.