È Alessandro Daniele, 43 anni, a ricordare con affetto e pudore il padre, l'immenso Pino Daniele, stroncato da un malore il 4 gennaio del 2015. Lo ha fatto in un'accorata intervista al Corriere della Sera, in occasione della presentazione della nuova biografia dell'artista
“Qual è il ricordo più vivo che ha di suo padre?” “Quello che vorrei tenere solo per me”. È Alessandro Daniele, 43 anni, a ricordare con affetto e pudore il padre, l’immenso Pino Daniele, stroncato da un malore il 4 gennaio del 2015. Lo ha fatto in un’accorata intervista al Corriere della Sera, in occasione della presentazione della nuova biografia dell’artista che ha pubblicato per RaiLibri. “Papà è nato nei quartieri popolari di Napoli, ha avuto una famiglia con numerosi problemi, è stato allevato da due vicine di casa benestanti, ha rischiato di restare per sempre sulla strada – ha raccontato Alessandro -. Nonno Gennaro era malato di azzardo. Sperperava soldi, trattava male sua moglie e anche i suoi figli. Eppure papà non lo ha mai abbandonato e anche quando si è ammalato ha voluto fargli sentire il calore di una famiglia intorno. Diceva che lui l’odio lo aveva conosciuto davvero e non voleva averlo intorno a sé, in nessuna forma. Parlava napoletano, da ragazzo faceva fatica ad esprimersi in un italiano corretto. E dunque, sì, si è sentito escluso nel momento in cui ha deciso di fare musica”.
E ancora: “Il suo più grande problema è stato essere Pino Daniele. Viveva la popolarità in maniera conflittuale. Era legato ai suoi fan, ma qualche volta l’aggressività di quelli che contestavano la sua evoluzione artistica lo feriva. C’erano quelli che avrebbero voluto ‘congelarlo’ ai tempi di Nero a metà. E glielo dicevano con durezza, a volte quasi minacciandolo. Ma la grandezza di papà è stata soprattutto quella di essersi evoluto, di non aver mai rinunciato a sperimentare”. Quindi una confidenza: “Una cosa che lo ha profondamente segnato, ma che è stata anche una linfa vitale per la sua musica. Ci vedeva pochissimo, aveva delle cicatrici sul fondo oculare che gli tagliavano la visuale. Nel 1974, proprio per questo problema alla vista, venne esonerato dal servizio di leva che all’epoca era obbligatorio. Si spiega così il suo caratteristico sguardo leggermente di traverso. Vedeva male, ma non si è arreso, anzi, questo disturbo ha affinato il suo senso musicale, perché ha imparato a esprimersi attraverso le note e le parole”.
Poi arrivarono anche i problemi cardiaci: “Mio padre era un miracolo in movimento. Pensi che ad un certo punto della sua vita aveva una vena sola che portava il sangue al cuore. I medici gli dissero che non avrebbe più fatto concerti, ma lui riuscì a ribaltare questa perizia. Le sue canzoni erano troppo importanti”. Ma, alla fine, furono proprio questi problemi cardiaci a portarselo via.