Il governo Meloni intende rottamare il reddito di cittadinanza, abolendolo per tutti dal 2024. Prima ci sarà un anno “cuscinetto” per tentare di inserire i lavoratori occupabili nel mondo del lavoro, accompagnandoli con corsi di formazione obbligatori. Per loro, i mesi di sostegno scenderanno subito da 12 a otto. Non solo: l’aiuto si perderà, sulla carta, già dopo la prima offerta congrua rifiutata (ma ai percettori di rdc finora non ne sono mai arrivate, o quasi). Si cerca insomma di recuperare risorse – “previsto un risparmio di 734 milioni per il 2023”, spiega il Tesoro – ma senza spingersi fino alla cancellazione immediata a cui puntava la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Il reddito “sarà abrogato il primo gennaio 2024 e sarà sostituito da una nuova riforma“, si legge nella nota del Mef. Meloni in conferenza stampa ha detto che “si continua a tutelare chi non può lavorare, aggiungiamo anche le donne in gravidanza, ma per chi può lavorare si abolirà alla fine del prossimo anno”. Ad incentivare l’assunzione dei percettori dovrebbe nel frattempo pensarci l’ennesimo sgravio contributivo per chi ne assume uno: peccato che questa opzione esista dal 2019, quando è nato il reddito.
Il rinvio dello stop definitivo al 2024 – data che consente comunque di aggiustare il tiro nel frattempo – sembra un modo per mettere una pezza ad una riforma annunciata in maniera troppo frettolosa. I cosiddetti occupabili sono i percettori di reddito di cittadinanza che non presentano evidenti impedimenti per ottenere un’occupazione. Quelli indicati dall’Anpal sono 660mila, ma non si da quanti di loro siano esonerati dalla ricerca perché genitori di figli piccoli o disabili, per esempio. A questi si sommano oltre 170mila persone che prendono il reddito ma già lavorano percependo stipendi talmente bassi da avere comunque diritto all’integrazione. Secondo il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda, “basterebbe migliorare le condizioni retributive e lavorative di questi lavoratori per quasi dimezzare immediatamente l’attuale numero dei percettori”. Circostanza che costituisce l’ennesima cartina di tornasole sulla drammatica situazione delle retribuzioni italiane, non di rado al di sotto di un livello di semplice sussistenza. Giova ricordare che l’assegno medio del reddito di cittadinanza è di 550 euro al mese. Non che ci sia, né ci sia mai stato da scialare.
L’Inps peraltro rileva che solo 372mila beneficiari risultano “vicini al mercato del lavoro” (hanno una posizione contributiva contemporanea alla percezione del rdc o ravvicinata). I “veri” occupabili che effettivamente non lavorano sono quindi relativamente pochi e, spesso, se non lavorano c’è un motivo più che una volontà. Si tratta di persone con bassa scolarizzazione (nel 70% dei casi si arriva al massimo alla licenza media), non più giovani, nella maggior parte dei casi lontani da oltre tre anni dal mercato del lavoro. Il taglio, come inizialmente concepito dalla premier, sarebbe dovuto scattare in automatico alla scadenza del periodo di percepimento (18 mesi rinnovabili con pausa di un mese), cosa che avrebbe penalizzato persone estremamente vulnerabili da un punto di vista sia economico, sia sociale.
Si vedrà come il governo intende poi tradurre in concreto l’uscita dal beneficio a partire dal 2024. Si era parlato della possibilità di obbligare i percettori ad accettare qualsiasi prima offerta di lavoro congrua, senza la possibilità di un rifiuto. Oggi, in teoria, la revoca scatta al secondo “no”. Il problema è che di offerte congrue, ossia che soddisfano requisiti di ammontare della retribuzione, coerenza con le competenze del destinatario e distanza dal posto del lavoro dall’abitazione, ai percettori di rdc non ne sono di fatto sinora mai arrivate, o quasi.
Lavoro & Precari
Reddito di cittadinanza abrogato dal 2024 e “sostituito da nuova riforma”. E gli occupabili nel 2023 lo riceveranno solo per 8 mesi
Il governo punta a recuperare risorse - previsto un risparmio di 734 milioni - ma senza spingersi fino alla cancellazione immediata. In salita la strada per reinserire i presunti occupabili: si tratta di persone con bassa scolarizzazione (nel 70% dei casi si arriva al massimo alla licenza media), non più giovani, nella maggior parte dei casi lontane da oltre tre anni dal mercato del lavoro. C'è poi il problema delle offerte ricevuto che quasi mai rispondono ai criteri di "congruità"
Il governo Meloni intende rottamare il reddito di cittadinanza, abolendolo per tutti dal 2024. Prima ci sarà un anno “cuscinetto” per tentare di inserire i lavoratori occupabili nel mondo del lavoro, accompagnandoli con corsi di formazione obbligatori. Per loro, i mesi di sostegno scenderanno subito da 12 a otto. Non solo: l’aiuto si perderà, sulla carta, già dopo la prima offerta congrua rifiutata (ma ai percettori di rdc finora non ne sono mai arrivate, o quasi). Si cerca insomma di recuperare risorse – “previsto un risparmio di 734 milioni per il 2023”, spiega il Tesoro – ma senza spingersi fino alla cancellazione immediata a cui puntava la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Il reddito “sarà abrogato il primo gennaio 2024 e sarà sostituito da una nuova riforma“, si legge nella nota del Mef. Meloni in conferenza stampa ha detto che “si continua a tutelare chi non può lavorare, aggiungiamo anche le donne in gravidanza, ma per chi può lavorare si abolirà alla fine del prossimo anno”. Ad incentivare l’assunzione dei percettori dovrebbe nel frattempo pensarci l’ennesimo sgravio contributivo per chi ne assume uno: peccato che questa opzione esista dal 2019, quando è nato il reddito.
Il rinvio dello stop definitivo al 2024 – data che consente comunque di aggiustare il tiro nel frattempo – sembra un modo per mettere una pezza ad una riforma annunciata in maniera troppo frettolosa. I cosiddetti occupabili sono i percettori di reddito di cittadinanza che non presentano evidenti impedimenti per ottenere un’occupazione. Quelli indicati dall’Anpal sono 660mila, ma non si da quanti di loro siano esonerati dalla ricerca perché genitori di figli piccoli o disabili, per esempio. A questi si sommano oltre 170mila persone che prendono il reddito ma già lavorano percependo stipendi talmente bassi da avere comunque diritto all’integrazione. Secondo il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda, “basterebbe migliorare le condizioni retributive e lavorative di questi lavoratori per quasi dimezzare immediatamente l’attuale numero dei percettori”. Circostanza che costituisce l’ennesima cartina di tornasole sulla drammatica situazione delle retribuzioni italiane, non di rado al di sotto di un livello di semplice sussistenza. Giova ricordare che l’assegno medio del reddito di cittadinanza è di 550 euro al mese. Non che ci sia, né ci sia mai stato da scialare.
L’Inps peraltro rileva che solo 372mila beneficiari risultano “vicini al mercato del lavoro” (hanno una posizione contributiva contemporanea alla percezione del rdc o ravvicinata). I “veri” occupabili che effettivamente non lavorano sono quindi relativamente pochi e, spesso, se non lavorano c’è un motivo più che una volontà. Si tratta di persone con bassa scolarizzazione (nel 70% dei casi si arriva al massimo alla licenza media), non più giovani, nella maggior parte dei casi lontani da oltre tre anni dal mercato del lavoro. Il taglio, come inizialmente concepito dalla premier, sarebbe dovuto scattare in automatico alla scadenza del periodo di percepimento (18 mesi rinnovabili con pausa di un mese), cosa che avrebbe penalizzato persone estremamente vulnerabili da un punto di vista sia economico, sia sociale.
Si vedrà come il governo intende poi tradurre in concreto l’uscita dal beneficio a partire dal 2024. Si era parlato della possibilità di obbligare i percettori ad accettare qualsiasi prima offerta di lavoro congrua, senza la possibilità di un rifiuto. Oggi, in teoria, la revoca scatta al secondo “no”. Il problema è che di offerte congrue, ossia che soddisfano requisiti di ammontare della retribuzione, coerenza con le competenze del destinatario e distanza dal posto del lavoro dall’abitazione, ai percettori di rdc non ne sono di fatto sinora mai arrivate, o quasi.
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Roma, 18 feb. (Adnkronos) - Martedì 25 alle ore 15.30 si svolgeranno le commemorazioni dell'Ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci. Poi il primo punto all'ordine del giorno è la mozione di sfiducia a Daniela Santanchè.
(Adnkronos) - La sede opportuna, ha sottolineato Ciriani, "è il Copasir che è un organo del Parlamento e non del governo, ed è presieduto da un componente delle opposizioni. E' quella la sede in cui il governo fornisce tutte le informazioni del caso: oggi è stato audito Valensise, la settimana scorsa Caravelli e la prossima settimana sarà audito Frattasi. Da parte del governo non c'è alcun volontà di non dare informazioni, ma di darle nelle sedi opportune".
E anche sulla richiesta delle opposizioni di sapere se Paragon sia stato utilizzato dalla polizia penitenziaria, Ciriani ribadisce che saranno date "riposte nelle sedi opportune. C'e' un luogo in cui dare risposte e un altro luogo in cui non si possono dare, ma questo è la legge a disporlo, non è il governo". Infine viste le proteste dei gruppi più piccoli che non sono rappresentati nel Copasir, Ciriani ha ricordato che "è la legge che lo prevede, non dipende dal governo".
Roma, 18 feb. (Adnkronos) - Martedì 25 al mattino si terrà discussione generale sulla mozione di sfiducia al ministro Carlo Nordio. Lo ha stabilito la conferenza dei capigruppo della Camera.
Roma, 18 feb. (Adnkronos) - La conferenza dei capigruppo ha stabilito che domani dalle 18 votazione si svolgerà la chiama per la fiducia sul dl Milleproroghe. Le dichiarazioni di voto inizieranno alle 16 e 20. Il voto finale sul provvedimento è previsto per giovedì.
Roma, 18 feb. (Adnkronos) - Le opposizioni protestano con il governo e con il presidente della Camera Lorenzo Fontana sulla mancata interrogazione al question time sul caso Paragon. "Il governo si sottrae al confronto con il Parlamento. Siamo totalmente insoddisfatti sulle motivazioni apportate dal ministro Ciriani" che ha ribadito come il governo ritenga "non divulgabili" le informazioni sul caso, ha detto la presidente dei deputati Pd, Chiara Braga, al termine della capigruppo a Montecitorio. "E abbiamo chiesto anche al presidente Fontana di rivalutare la sua scelta".
"Il governo ha avuto l'atteggiamento di chi è stato preso con le mani nella marmellata: tutti hanno parlato, ma ora che abbiamo chiesto se lo spyware fosse utilizzato dalla polizia penitenziaria scatta il segreto...", osserva il capogruppo di Iv, Davide Faraone. Per Riccardo Magi di Più Europa si tratta "di un altro colpo alle prerogative del Parlamento. Si toglie forza a uno dei pochissimi strumenti che si hanno per ottenere risposte dal governo".
Roma, 18 (Adnkronos) - "Si tratta di informazioni non divulgabili" e come tali "possono essere divulgate solo nelle sedi opportune" come il Copasir. Lo ha detto il ministro Luca Ciriani al termine della capigruppo alla Camera a proposito delle interrogazioni al governo da parte delle opposizioni sul caso Paragon. "Da parte del governo non c'è alcun volontà di non dare informazioni, ma di darle nelle sedi opportune".
Milano, 18 feb. (Adnkronos) - "Sono molto sollevato per la decisione del giudice Iannelli che ha escluso la richiesta di arresti domiciliari a mio carico. Ciò mi permette di proseguire il mio lavoro di architetto e anche di portare a termine l’incarico di presidente di Triennale e di docente del Politecnico di Milano". Lo afferma Stefano Boeri dopo la decisione del gip di Milano che ha disposto un'interdittiva che gli vieta per un anno di far parte di commissioni giudicatrici per procedure di affidamento di contratti pubblici.
L'archistar è indagato insieme a Cino Paolo Zucchi e Pier Paolo Tamburelli per turbativa d'asta nell'inchiesta per la realizzazione della Beic, la Biblioteca Europea di Informazione e Cultura. "Ribadisco la mia piena fiducia nel lavoro della magistratura e non vedo l’ora di poter chiarire ulteriormente la mia posizione. Non nascondo però la mia inquietudine per tutto quello che ho subito in queste settimane e per i danni irreversibili generati alla mia vita privata e professionale" conclude Boeri in una nota.