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Ucraina, Zelensky vuole l’Iron Dome per proteggere i suoi. Ma Netanyahu tentenna

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiesto ancora una volta la fornitura del sistema di difesa aerea israeliano Iron Dome durante una conferenza stampa il 16 novembre con il premier Benjamin Netanyahu. Quest’ultimo ha affermato che avrebbe preso in considerazione la proposta, visto che al momento a Kiev sono stati forniti solo dei giubbotti antiproiettile per i non combattenti e un ospedale da campo al confine tra Ucraina e Polonia. Già il 15 febbraio, prima dell’invasione russa dell’Ucraina, il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth riportava che l’Ucraina aveva cercato senza successo il sistema Iron Dome.

Il 9 novembre, il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha dichiarato ai giornalisti che le capacità produttive di Israele non erano sufficienti per fornire all’Ucraina sistemi di difesa aerea. “È chiaro che anche se si decidesse di cambiare la nostra politica è impossibile svuotare la nostra fornitura di sistemi di difesa aerea” ha affermato Gantz.

Tuttavia, durante le osservazioni a una tavola rotonda dello Stimson Center sull’Ucraina e il futuro della guerra aerea pronunciate il 14 novembre, Tom Karako, membro anziano del Programma di sicurezza internazionale e direttore del Progetto di difesa missilistica presso il Centro per gli studi strategici e internazionali, è apparso contraddittorio su quanto riferito da Gantz: “C’è un sistema che gli Stati Uniti potrebbero condividere, ma non l’hanno fatto ed è il nostro Iron Dome. Non abbiamo bisogno di togliere nulla a Israele per la sua stessa difesa. Gli Stati Uniti hanno due batterie di Iron Domes”.

“E se, dal punto di vista della politica estera, Israele dovesse dare il via libera sarebbe un’aggiunta utile” ha continuato Karako riferendosi all’accordo tra Israele e gli Stati Uniti – nazioni che hanno sviluppato congiuntamente l’Iron Dome, solo per vendere la tecnologia a terzi tramite mutuo consenso.

Dopo le elezioni di questo mese in Israele e il cambio di partito al governo, a Zelensky è stato chiesto se ci fosse stato un cambiamento nelle relazioni con Israele: “Il cambiamento è che siamo tornati in contatto con Netanyahu. Abbiamo trasmesso loro tutti i dettagli riguardanti la difesa aerea. Questa è la massima priorità. Mi ha assicurato che risolverà questo problema il prima possibile”.

Il sistema Iron Dome è stato progettato appositamente per intercettare razzi a corto raggio, colpi di mortaio e pezzi di artiglieria provenienti dai territorio palestinesi e dall’area del Libano sottoposta al controllo di Hezbollah. Sistema mobile terrestre, l’Iron Dome si colloca nella categoria “V-Shorad”, per la difesa di minacce a raggio più che corto, entro i quaranta chilometri. Si compone di tre elementi principali: il radar Elm 2084, il sistema di gestione e controllo (Bmc) e i lanciatori trasportabili dotati di missili “Tamir”, vettori da tre metri di lunghezza per un diametro di 160 millimetri, peso di 90 chilogrammi e raggio da due a 40 chilometri.

Una batteria di Iron Dome consiste di 3-4 lanciatori fissi trasportabili su camion ciascuno dei quali dotato di 20 missili “Tamir” associati ad un radar sviluppato dalla israeliana Elta. Ogni razzo difensore costa all’incirca 80mila dollari. Eppure sull’efficacia del sistema antimissilistico israeliano c’è qualche dubbio. Su tutti il commento di Ted Postol, esperto di difesa missilistica del Mit (Massachusetts Institute of Technology), che sostiene che Iron Dome avrebbe una reale efficacia non del 90% come sostenuto dagli israeliani, ma solo del 5%. In un suo rapporto ha infatti analizzato le scie – e quindi le caratteristiche di volo – dei missili “Tamir” unitamente alle caratteristiche degli stessi, stabilendo che per neutralizzare un razzo in arrivo Iron Dome deve colpirne la testata e non semplicemente danneggiare la parte dedicata alla propulsione.

Israele al momento continua a tentennare per ragioni sicuramente politiche legate al ruolo della Russia in Medio Oriente, vedi la situazione in Siria, e per ragioni ancor più pratiche temendo il rischio che tecnologie sensibili finiscano in mano russa e quindi potenzialmente iraniana.