La manovra introduce anche una flat tax incrementale, sempre del 15% e sempre per le sole partite Iva. In sostanza il prelievo "piatto" si applica agli incrementi di reddito rispetto al triennio precedente fino a 40mila euro
Nel testo della legge di Bilancio licenziata dal Consiglio dei ministri trova posta anche l’annunciato, piccolo, ampliamento della flat tax. Ossia la tassa piatta con un’aliquota unica, in questo caso del 15%, che si applica indipendentemente dal reddito del contribuente azzerando la progressività del prelievo. In particolare sale da 65mila a 85mila euro la soglia dei ricavi o dei compensi entro cui le partite Iva possono ricorrere a questo regime. In termini di platea non cambia molto, agli attuali 2,1 milioni titolari di partite Iva beneficiari della tassa piatta se ne aggiungono 100mila ma il costo della misura è di 281 milioni di euro ogni anno. La riforma introduce trattamenti fiscali fortemente differenziati tra lavoratori dipendenti e autonomi con redditi paragonabili. Come ha sottolineato su Twitter l’economista, deputata Pd ed ex viceministra del Lavoro Maria Cecilia Guerra, un dipendente o un pensionato finirebbero con il versare fino a quasi 10mila euro di tasse in più rispetto a una partita Iva.
Un professionista di Roma con ricavi pari a 85000 euro (e quindi redditi pari a 53703) pagherà con la nuova #FlatTax ???????????????? ???????????????? ???????? ???????????????????? ???????? ???????????????? di un lav. dipendente o un pensionato (8.055 euro contro 18.019). Qualcuno mi sa spiegare il senso di questa cosa?
— maria cecilia guerra (@mceciguerra) November 21, 2022
Il calcolo richiede alcune spiegazioni che la professoressa Guerra ha fornito a Ilfattoquotidiano.it. Un titolare di partita Iva (ad esempio un avvocato) è sottoposto ad un regime di costi forfettari del 22% (indipendentemente da quelli effettivi) che devono essere sottratti ai ricavi. A cui vanno poi tolti anche i contributi. Fatti i dovuti calcoli rimangono appunto 53.703 euro e a questa cifra si applica la flat tax del 15% per un prelievo che ammonta a 8.055 euro. Un dipendente con lo stesso reddito è invece sottoposto non solo alle ordinarie aliquote Irpef (nella parte sopra i 50 mila euro del 43%) ma anche alle addizionali Irpef comunali e regionali che in città come Roma o Milano incidono in misura non indifferente. Il risultato finale è che un dipendente che abita nella capitale si trova a pagare imposte per 18.019 euro, quasi 10mila euro in più rispetto al lavoratore autonomo, ad esempio un avvocato. Questa evidente disparità di trattamento potrebbe peraltro indurre lavoratori dipendenti a passare ad un rapporto di collaborazione con partita Iva, aumentando le difficoltà per le casse dell’Inps.
La manovra introduce anche una flat tax incrementale, sempre del 15% e sempre per le sole partite Iva. In sostanza il prelievo “piatto” si applica agli incrementi di reddito rispetto al triennio precedente fino a 40mila euro. Qualora si dovessero superare i 100mila euro di incassi annui si torna però in automatico al regime di tassazione ordinario e progressivo.
Nella manovra ci sono “tre tasse piatte”, tra cui quella “sui redditi incrementali alle partite Iva che hanno una tassa piatta del 15% sul maggiore utile conseguito rispetto al triennio precedente con soglia massima 40 mila euro, il che dimostra che si tratta di una misura rivolta al ceto medio, che non favorisce i ricchi e riconosce i sacrifici di chi lavora”, ha spiegato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni stamane in conferenza stampa. Meloni ha ricordato poi l’aumento della flat tax a 85mila euro e “l’introduzione della tassa piatta al 5% sui premi di produttività fino a 3mila euro contro il 10% previsto attualmente e fa il paio con estensione fringe benefit”
“Sulla flat tax ordinaria siamo intervenuti elevando il tetto da 65mila a 85mila euro, nel rispetto delle regole comunitarie. Quello che abbiamo fatto è anche una misura di contrasto all’elusione e a pratiche non certo ortodosse: prima il soggetto con i presupposti per la flat tax che nell’anno precedente aveva un ammontare inferiore a 65mila euro, nell’anno successivo poteva dichiarare anche un milione e pagare comunque il 15%: oggi non è più possibile, se superi la soglia già da quell’anno tu mi devi pagare tutte le imposte”, ha precisato il viceministro dell’economia Maurizio Leo. Oltre a questo, “in alternativa c’è la flat tax incrementale, che è uno degli aspetti più importanti nel programma centrodestra e ha una duplice finalità: contrastare l’evasione fiscale, e di stimolo alla crescita economica”.
In realtà non si capisce bene per quale ragione l’innalzamento della soglia massima dovrebbe scongiurare l’evasione fiscale. Non si fa altro che spostare su una cifra più elevata il punto che sollecita comportamenti di occultamento dei redditi al fisco. La recente, e a lungo attesa, Relazione sull’economia non osservata redatta dal ministero dell’Economia ha messo in luce “un incremento della propensione al gap (la differenza tra gettito presunto ed effettivamente registrato, ndr) dovuta al fatto che alla riduzione degli importi dichiarati, determinata dall’estensione del regime forfettario, non risulta associata un’altrettanto marcata riduzione del gap d’imposta”. In termini più semplici la flat tax ha accresciuto e non diminuito la propensione all’evasione fiscale. Le misure arrivano peraltro in una fase di elevata inflazione (11,9%) che verosimilmente si tradurranno, almeno in parte, in un incremento dei ricavi nominali delle partite Iva in grado di scaricare sui clienti i maggiori costi. L’effetto reale del nuovo regime fiscale rischia quindi di essere in concreto molto ridimensionato.