Oltre alla cancellazione delle cartelle esattoriali non pagate fino a mille euro, nella manovra ci sono anche sanatorie per le dichiarazioni dei redditi. Il mancato gettito rischia di impattare anche sui bilanci degli enti locali
La legge di Bilancio è costellata di condoni fiscali grandi e piccoli. Il più noto è la cancellazione tout court delle cartelle esattoriali fino a mille euro e ricevute entro il 2015. Secondo il governo, si tratta di somme ormai difficili da riscuotere, meglio quindi alzare bandiera banca e premiare chi non ha pagato. Pudicamente battezzata “tregua fisale” è l’intervento in materia di tasse più noto e propagandato. Ma c’è dell’altro. La lista dei premi per gli evasori l’ha illustrata ieri in conferenza stampa il viceministro dell’economia Maurizio Leo, braccio destro della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ribadendola oggi, punto per punto, in un’intervista al Corriere della Sera.
Una prima misura riguarda le dichiarazioni dei redditi del 2019, 2020 e 2021. In sostanza viene predisposta una scorciatoia per chi ha comunicato al fisco un determinato reddito ma non ha poi versato le tasse dovute. “Sono stati anni particolari, caratterizzati dalla pandemia”, spiega il viceministro. Vero, ma lo sono stati per tutti, compresi quelli che hanno regolarmente pagato. Ora i versamenti mancanti potranno essere spalmati su un arco di 5 anni con una mini sanzione del 3%. Questo una volta che venga accertata l’effettiva impossibilità a pagare negli anni precedenti. Auguri. C’è però anche chi, più semplicemente, ha dichiarato meno del dovuto.
Anche in questo caso arriva il soccorso del governo Meloni. Se il fisco ha rilevato ma non ha ancora contestato l’evasione, si apre la possibilità di un “ravvedimento operoso” allungato. Si potrà pagare nell’arco di due anni anni (e non più uno) con una sanzione ridotta al 5%. Nel caso levasione sia stata già contestata, il contribuente avrà la possibilità di rateizzare in un quinquennio versando il 5%. Chi ha il tempo e le risorse per farlo può però buttare la palla in corner e avviare l’accertamento con adesione in cui, spiega Leo, “si apre una trattativa con il fisco per ridurre l’importo dovuto”. Infine, spiega il vice ministro, se c’è già un contenzioso in corso il contribuente può chiuderlo tramite una conciliazione giudiziale.
Con queste iniziative il governo rinuncia a dei soldi e a rischio potrebbero essere anche le casse degli enti locali. “Eviteremo che questo si traduca in tagli ai servizi che gli enti locali erogano ai cittadini. Sono certa che, grazie anche al confronto con Anci e con le altre realtà, individueremo le soluzioni più idonee”, ha provato oggi a rassicurare Sandra Savino, sottosegretario al ministero dell’Economia e delle Finanze.
Quando si fanno ragionamenti sul sistema fiscale italiano, complicato ma non più di quello di altri paesi avanzati, bisognerebbe sempre partire da un dato, ossia che il livello di evasione è doppio rispetto a quello di nazioni economicamente comparabili. Questo inscalfibile primato si è consolidato anche grazie ad un’infinita serie di condoni. Secondo banca d’Italia solo tra il 1973 e il 2019 ce ne sono stati 25, una media di uno ogni due anni. Tra il 1980 e il 2010 lo Stato ha incassato con queste misure circa 62 miliardi di euro. Se avesse riportato i tassi di evasione in linea con quelli europei avrebbe incassato, in una stima approssimativa, 1.500 miliardi di euro. Sarebbero serviti per investimenti, scuola, sanità, etc. Oppure per abbassare le tasse a chi le ha sempre pagate.