Quarantacinque persone tra appartenenti alla Polizia penitenziaria, medici, funzionari ed ex direttori del carcere di Ivrea sono indagati dalla Procura della città piemontese per diversi episodi di pestaggio sui detenuti della casa circondariale, avvenuti negli ultimi due anni. I reati ipotizzati sono tortura con violenze fisiche e psichiche, falso in atto pubblico, lesioni, minacce e calunnie. Nella notte tra lunedì e martedì, personale della Polizia penitenziaria, dei Carabinieri e della Guardia di finanza ha eseguito 36 perquisizioni all’interno del carcere e nelle abitazioni degli indagati. Secondo l’accusa, i detenuti venivano picchiati e rinchiusi in celle di isolamento, e alcuni di loro venivano obbligati a denunciare altri reclusi in cambio di benefici.
Il fascicolo nasce da numerose denunce presentate nel corso degli anni, sia da parte di vari detenuti (in alcuni casi dopo il trasferimento in altri penitenziari) sia dai loro parenti e dal Garante dei detenuti della Regione Piemonte. La prima segnalazione, oltre un anno fa, era arrivata da un detenuto trentenne a cui era stato spezzato un braccio durante una sfida a braccio di ferro con un agente della penitenziaria, episodio fatto passare per infortunio sul lavoro. Dalle segnalazioni del Garante era già nata un’inchiesta per fatti molto simili, presuntamente avvenuti sempre nel carcere di Ivrea tra 2015 e 2016: quell’indagine – in cui non è contestato il reato di tortura, introdotto successivamente – è stata avocata dalla Procura generale di Torino e portata a termine nei confronti di 25 persone, dopo che i pm di Ivrea (all’epoca guidati dal procuratore Giuseppe Ferrando) aveva chiesto l’archiviazione. Il pg Giovanni Saluzzo aveva definito le indagini condotte nel capoluogo del Canavese “carenti sotto vari profili“.
Nel 2016 il Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, aveva stilato un Rapporto ispettivo sul carcere di Ivrea in cui si parlava – oltre che di condizioni strutturali e igieniche inaccettabili – di una “sala accanto all’infermeria” chiamata “sala acquario“, soprannome nato per via di un vetro completamente oscurato (tranne che per una striscia di 15 centimetri) da cui è possibile guardare dall’esterno ciò che accade all’interno, utilizzata, secondo Palma, come “cella di contenimento di natura afflittiva” in violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La nuova indagine – comunicano fonti inquirenti – ha permesso di raccogliere numerosi elementi a conferma delle denunce presentate nel corso degli anni, anche in merito all’esistenza di una “cella liscia” e di una cella “acquario”, all’interno delle quali i detenuti venivano picchiati e rinchiusi in isolamento senza poter avere contatti nemmeno con i legali. “I reati risultavano tuttora in corso, situazione che ha reso inevitabile l’intervento degli inquirenti”, fanno sapere dalla Procura di Ivrea, guidata dallo scorso febbraio da Gabriella Viglione.