Un articolo pubblicato dalla giornalista austrialiana Catlin Johnstone ha analizzato in modo convincente, quanto sconfortante, l’esistenza di un’ampia corrente di pensiero che sostiene che la prospettiva della terza guerra mondiale, condotta dall’occidente contro Russia e Cina, sia oramai inevitabile e che occorra prepararsi per tempo a tale eventualità incrementando le spese militari e predisponendo in modo adeguato tutti i necessari apparati bellici, ma anche conducendo una martellante campagna di condizionamento psicologico di massa in stile goebbelsiano per vincere le resistenze opposte dall’opinione pubblica.

Catlin Johnstone fa riferimento anche a un articolo molto recente, pubblicato dalla rivista mainstream di relazioni internazionali Foreign Affairs, che è stato significativamente intitolato “Could America Win a World War? What It Would Take to Defeat Both China and Russia“, che perora con convinzione la causa del riarmo in vista della guerra contro i due antagonisti. La giornalista australiana passa poi ad illustrare una serie impressionante di prese di posizione di studiosi delle relazioni internazionali pubblicate su media importanti come il Washington Post, Foreign Policy, il New Yorker e altri, che convergono sulla necessità per gli Stati Uniti di prepararsi alla guerra contro Cina, Russia e anche Iran.

Secondo Alberto Bradanini, che è stato ambasciatore d’Italia a Pechino, “le pontificazioni elencate costituiscono l’evidenza che l’esercito della grande menzogna è pericolosamente uscito di senno. Il suo verbo obbedisce alla narrativa degli strateghi occulti che valutano l’ipotesi di un conflitto globale non solo possibile, ma persino naturale, e che nessuno può evitare”. Ovviamente tutto ciò non viene neanche preso in considerazione nel nostro paesucolo governato da servi del potere occidentale e abitato da circa 60 milioni di poveri cristi e povere criste, intenti in grande maggioranza a sbarcare il lunario con difficoltà e assolutamente ignari della catastrofe che si sta preparando sulla loro pelle.

Citando lo storico Andrea Graziosi, Bradanini ci dà un quadro purtroppo veritiero dell’Italia scrivendo che “la cultura politica italiana è irrilevante e provinciale ed è concentrata su aspetti periferici, in una logica capovolta rispetto alle priorità e agli stessi interessi dell’Italia, un paese desovranizzato, marginale e asservito agli interessi altrui”. Il minestrone immangiabile che i media dominanti (i cosiddetti giornaloni, cioè praticamente il complesso della stampa quotidiana italiana, con l’unica rilevante eccezione del Fatto Quotidiano) ci ammanniscono quotidianamente, prosegue Bradanini, “le nazioni autocratiche (il regno del male) costituiscono una minaccia per le democrazie occidentali (il regno del bene)”. Una narrazione ultra-semplificata e mistificatoria della situazione attuale, che scimmiotta ridicolmente propositi e ideali della coalizione antinazista che vinse la seconda guerra mondiale.

Scimmiottamento tanto più ridicolo se si pensa che di tale coalizione faceva parte l’Unione Sovietica e che oggi gli stessi stati occidentali hanno votato contro una risoluzione di condanna del nazifascismo all‘Assemblea generale delle Nazioni Unite. Narrazione però che, forse proprio per la sua forma primitiva e grottesca, ha avuto indubbiamente il merito di coagulare attorno a sé le cosiddette classi dirigenti europee e quella italiana in particolare. Impresa peraltro non troppo difficile dato il livello culturale estremamente basso di tali classi dirigenti, composte da personaggi mal fabbricati in vitro che non hanno vissuto alcuna vicenda storica significativa durante la loro insulsa esistenza.

Del tutto condivisibile anche l’affermazione dello stesso Bradanini, secondo il quale “nell’era dell’arma nucleare dovrebbe invece prevalere il principio di massima cautela moltiplicando gli sforzi a favore del dialogo e del compromesso, della de-escalation e della distensione”. Ma quale dei nostri dissennati politici sarebbe oggi in grado di capire il senso di questa affermazione? Forse solo Sergio Mattarella, ma beninteso a giorni alterni. Il verbo e la prassi della guerra dilaga del resto in tutto il mondo, come dimostrano le aggressioni turche al Rojava, quella israeliana alla Palestina, quella saudita allo Yemen, quella marocchina al Sahara occidentale, per limitarsi ai casi più noti. Prima la Nato (che come rivelato dal Fatto ha preparato l’attuale conflitto a partire almeno dal 2014) e poi la Russia hanno fatto scuola.

Quindi stiamo messi male. È il caso di levare con forza la voce del dissenso pacifista per dire basta al riarmo, all’escalation e alla guerra. Questo contagio potrebbe estendersi agli altri paesi europei, agli Stati Uniti e ai paesi direttamente coinvolti nel conflitto ucraino, la stessa Ucraina e la Russia; ma solo questi paesi sono in grado di operare quella svolta oggi indispensabile e urgente per salvare la civiltà umana.

Cominciamo quindi a lavorarci dichiarando la nostra netta dissociazione dalla Nato e dalle logiche belliciste, a iniziare dalla manifestazione delle donne prevista sabato prossimo 26 novembre a Roma.

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