Finisce in prescrizione l’accusa di aver messo a segno una truffa da 30 milioni di euro a carico di Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato e direttore generale di Veneto Banca, uno degli istituti di credito veneti finiti sul lastrico alcuni anni fa. L’affare finito nel mirino della giustizia penale era l’acquisizione di Bim, Banca Intermobiliare spa di Torino, da parte della popolare di Montebelluna. Il Tribunale di Treviso ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di Consoli per intervenuta prescrizione. La richiesta era stata avanzata dal difensore, avvocato Ermenegildo Costabile. L’accusa riguardava l’acquisto di Bim, con un pagamento non in denaro, ma con una consistente quota di azioni di Veneto Banca, i titoli il cui valore si era poi azzerato nel momento in cui era stato scoperto il meccanismo di autofinanziamento non regolare da parte dell’istituto veneto. Come conseguenza, 65milioni di euro di azioni Bim erano crollate a un valore di 600mila euro.

I fatti risalgono nel tempo, al 2008-2010, ma il processo è stato avviato ugualmente perché secondo la Procura di Treviso il calcolo della prescrizione andava fissato al giugno 2017, quando vi fu l’accertamento del crack di Veneto Banca. Per il reato di truffa la prescrizione scatta dopo sette anni e mezzo. La difesa aveva sostenuto, invece, che la procedura di acquisizione di Bim risaliva al 2008 e quindi l’orologio della giustizia si deve fermare a causa del tempo trascorso. Una tesi fatta propria dal giudice Leonardo Bianco. Ad avviare l’indagine era stata una denuncia di Pietro D’Aguì, ex amministratore delegato di Bim, assistito dall’avvocato Michele Gentiloni Silveri, il quale ha commentato: “Il Tribunale ha deciso in questo senso e noi rispettiamo la sentenza”. Interrogato a settembre, D’Aguì aveva detto: “Mi sono ritrovato con 30 milioni di euro di azioni Veneto Banca che si sono rivelate carta straccia. I 65 milioni di euro in azioni di Bim, che avevo in origine, sono precipitate al valore attuale di 600 mila euro. L’inganno di Consoli sta nel fatto che non aveva alcun progetto quando acquisì la nostra banca”.

Nel 2021 il giudice aveva indicato come la commissione del reato coincidesse con l’inadempimento da parte di Veneto Banca al “riacquisto” delle azioni. “Nel caso di specie – aveva scritto in un’ordinanza – si fa riferimento non soltanto alla cessione delle azioni in cambio di titoli di Veneto Banca, ma anche al successivo doloso inadempimento, secondo l’imputazione formulata dal pubblico ministero, dell’obbligazione di riacquisto dei titoli stessi. Di conseguenza sarà necessario verificare, attraverso la ricostruzione e l’esame degli accordi contrattuali concretamente intercorsi tra le parti e attraverso l’analisi dei comportamenti tenuti dalle parti stesse, se detto inadempimento sia esistito e se esso debba o meno considerarsi danno rilevante ai fini della consumazione della ipotizzata truffa, nonché quando esso si sia eventualmente verificato”. Ora la decisione, come le azioni anche le carte del processo diventano carta straccia.

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