Sono orgoglioso di essere stato invitato dal consigliere Luigi Piccirillo a parlare di sanità. Sono orgoglioso di averne parlato al fianco di un giornalista del Fatto Quotidiano, Luigi Franco, e due colleghi, Alberto Schiavone e, in collegamento da remoto, William Raffaeli. Sono orgoglioso di aver parlato nella sala del Gonfalone, sala stampa del palazzo Pirelli della Regione Lombardia. Una serata sicuramente interessante che, ovviamente, non è riuscita a sviscerare a pieno le idee e le proposte. Ma è servita per parlarne e, come ho detto rispondendo ad una domanda, già il parlarne non può che portare al confronto che può essere costruttivo. Solo dalla parte dei cittadini.
Potete ascoltare l’intera serata qui e farvi una idea delle mie idee a volte in contrasto. Così scoprirete che il collega in collegamento da remoto ad un certo punto dice: “L’intramoenia non c’entra niente, niente. Mi dispiace per il collega, non so perché ritiene che sia un problema. L’intramoenia lui lo sa come viene fatta fuori dall’orario di servizio. La libera professione è un passaggio che non stravolge le liste di attesa. Non è l’ che troveremo i ritagli per recuperare le liste di attesa: è una menzogna.”
Lo scuso dell’offesa perché da remoto è difficile, a prescindere, dialogare. Lo scuso anche perché parla da una regione, l’Emilia Romagna, che non conosco bene dal punto di vista organizzativo. Inoltre lo scuso perché per mancanza di tempo non ho potuto aprire un dialogo costruttivo con le nostre differenti idee. Non lo scuso però per non avermi ascoltato come io ho fatto con lui.
Avrebbe appreso che io avevo detto che, soprattutto in Regione Lombardia dove l’ospedalità privata accreditata copre quasi il 70% delle prestazioni convenzionate, i medici vengono pagati spesso a percentuale, non sono dipendenti. L’intramoenia riguarda solo i dipendenti di ospedali pubblici. Avrebbe capito che per superare le liste di attesa, le strutture private accreditate hanno inventato il solvente divisionale, una prestazione a pagamento con una tariffa “calmierata” che va bene a tutti, ma che inevitabilmente aumenta l’attesa di chi non può, a qualunque titolo, pagare.
Io credo che siccome il sistema così come lo abbiamo reso non funziona, occorre cambiare. Come? Come ho detto spesso, tornando al passato. Ospedali pubblici dove si fanno solo visite, esami, diagnosi e terapie mediche o chirurgiche pubbliche. Senza intramoenia e senza cavilli burocratici ed economici per ovviare, credendosi furbi, alla lista. Come un gatto che si morde la coda. Partiamo da cose semplici da attuare. Partiamo da un concetto semplice: l’ospedale deve servire a tutti, non prima a chi può. Occorre controllare che questo equo concetto sia rispettato. Per il bene comune.
Almeno quando ci sono periodi di emergenza e quando la struttura non riesce a garantire la cura del paziente quella struttura non deve fare prestazioni private, ma solo pubbliche. Oppure fa solo prestazioni private ma la regione toglie il convenzionamento. Perché secondo l’articolo 32 della Costituzione dobbiamo garantire a tutti di stare in salute. E andiamo avanti perché la forza delle idee, prima o poi, vincerà. E gli onesti riempiranno il vicolo e se gli uomini di buona volontà terranno a volte la bocca chiusa in modo che restino aperte le orecchie.