Nel lungo menù dei condoni che offre la legge di Bilancio trova posto anche una sanatoria per le criptovalute come il bitcoin. Chi ha realizzato dei guadagni, ma non le ha mai denunciate al fisco (nel capitolo RW della dichiarazione dei redditi). potrà ora mettersi in regola pagando un’ imposta sostitutiva del 3,5% a cui va aggiunto un altro 0,5% delle somme a titolo di interessi e risarcimenti. I versamenti potranno per di più essere rateizzati in un triennio, partendo dal prossimo 30 giugno. Davvero poca cosa per chi ha fatto grandi utili negli anni d’oro. Solo nel 2021 ad esempio il valore di un bitcoin è passato da 7.340 euro a ad oltre 40mila con un guadagno di circa il 400%. Chi invece, pur non avendo mai dichiarato il possesso di valute digitali, non ha realizzato alcun profitto potrà farle emergere versando solo la sanzione dello 0,5%. Si tratta in sostanza di una voluntary disclosure che solitamente riguarda i capitali detenuti illecitamente all’estero e non dichiarati al fisco che però in questo caso viene applicata alla criptovalute.

La legge di bilancio prevede anche una regolamentazione più generale del settore con le novità in vigore dal prossimo 1 gennaio. Viene introdotta un’imposta di bollo del 2 per mille del valore della somma detenuta. Muta la tassazione delle plusvalenze in che in precedenza era assimilata alle monete estere. Nel momento della conversione (non solo da criptovaluta a monete ordinarie ma anche tra diversi tipi di monete digitali) l’eventuale guadagno subiva un prelievo del 26%. Con una condizione aggiuntiva però ossia che per almeno 5 gironi consecutivi nel corso dell’anno precedente il valore della somma detenuta avesse superato i 51mila euro. Ora la franchigia viene ridotta a soli 2mila euro. Il nuovi regime è accompagnato dalla possibilità di ricorrere ad un’imposta sostitutiva del 14% da pagare per rivalutare il valore delle criptovalute possedute e da qui calcolare le successive plusvalenze (dal 2023 in poi) riducendone la cifra su cui si applica il prelievo del 25%. .

In teoria, ma questo è un aspetto che andrà chiarito, il prelievo non si applica in caso di passaggio da una criptovaluta all’altra purché con “medesime caratteristiche e funzione”, il che lascia aperti spazi interpretativi come nel caso delle cosiddette stablecoin. Suscitano perplessità tra gli esperti del settore anche le modalità con cui dovrebbero essere certificate le plusvalenze. La legge prevede che in mancanza di documentazione probante il calcolo viene fatto partendo da zero. La conversione da moneta a valuta digitale non contempla però, per la natura stessa dello strumento, la certificazione di un ente terzo. Per intenderci un risparmiatore che compra mille euro di bitcoin e le cambia dopo un anno a 1.500 rischia di vedersi conteggiare una plusvalenza di 1.500 euro invece che di 500.

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