In Europa e negli Stati Uniti la preoccupazione per la mancanza di rifornimenti da inviare a Kiev è diffusa, soprattutto tra gli analisti. C'è la consapevolezza radicata che con questi ritmi il conflitto è difficilmente sostenibile anche per l'enorme arsenale a disposizione dei Paesi del Patto Atlantico. "Adesso però è tardi per riconvertire l'industria", dice a Ilfattoquotidiano.it l'analista del Cesi Marco Di Liddo
Razzi, missili, raid aerei e droni armati. Il conflitto in Ucraina ha riportato in Europa la guerra convenzionale e con essa bombardamenti massicci come non si vedevano dagli Anni 90. Un modo di farsi la guerra che nella testa delle potenze occidentali era ormai sorpassato, impegnate com’erano, negli ultimi anni, a combattere milizie, gruppi terroristici e formazioni paramilitari in conflitti che assumevano sempre più spesso la dicitura di “operazioni di pace” o “lotta al terrorismo”. A questo ritorno al passato il blocco Nato non era affatto preparato. Ed è così che, oggi, di fronte all’enorme richiesta ucraina di munizioni per artiglieria pesante, i Paesi che sostengono Kiev si trovano a corto di materiali e di fronte a una scelta: scendere sotto al limite critico di difesa o premere sul freno di una guerra ancora nel vivo.
In Europa e negli Stati Uniti la preoccupazione per la mancanza di rifornimenti da inviare a Kiev è diffusa, soprattutto tra gli analisti. C’è la consapevolezza radicata che con questi ritmi il conflitto sia difficilmente sostenibile anche per l’enorme arsenale a disposizione dei Paesi del Patto Atlantico. Nei momenti più intensi del conflitto, come scrive Repubblica, i russi sono riusciti a sparare 60mila razzi al giorno, mentre gli ucraini arrivavano a 20mila. “Il problema – spiega a Ilfattoquotidiano.it Marco Di Liddo, responsabile del desk Russia per il Centro Studi Internazionale (Cesi) – è che nel post Guerra Fredda i Paesi della Nato, eccezion fatta per il conflitto nell’ex Jugoslavia, hanno dovuto far fronte a scontri contro gruppi armati non statali, organizzazioni terroristiche o milizie come i Taliban. Questo ha fatto sì che lo sviluppo tecnologico e la produzione di armamenti si siano concentrati maggiormente sull’attività d’intelligence e sulle armi di precisione come i droni armati. La guerra non si faceva più con l’artiglieria pesante, così anche l’industria bellica si è adattata”.
Adesso, però, le cose sono cambiate e l’invasione russa dell’Ucraina, che molte potenze occidentali hanno fatto finta di non vedere anche dopo il 2014, quando i carri armati di Mosca sono entrati in Crimea, costringe le potenze Nato a fare i conti con le loro politiche di Difesa degli ultimi decenni. “Le mancanze più importanti riguardano il munizionamento per obici e semoventi – continua Di Liddo – Se il Generale Inverno non può più essere considerato un fattore determinante, se non per il fatto che Mosca sta distruggendo il sistema infrastrutturale civile ucraino riducendo la popolazione allo stremo, diversa è la questione del munizionamento pesante”. E adesso una riconversione lampo dell’industria bellica ‘occidentale’ sarebbe comunque tardiva: “Quando il 24 febbraio la Russia ha portato le sue truppe in Ucraina eravamo già in ritardo – spiega l’analista – Alcuni Paesi europei da settimane spingono per creare un meccanismo di coordinamento Ue per la produzione di armi, così da essere più efficienti, non sottoporre a stress le riserve dei singoli Stati e provare a rispondere alle richieste ucraine. Anche se, va detto, la differenza la farà la capacità degli Stati Uniti di soddisfare la domanda di Kiev. Washington rimane di gran lunga il principale partner militare di Volodymyr Zelensky“.
Un problema che, al momento, non tocca il Cremlino. Da quel poco che si capisce, nei depositi russi il munizionamento pesante abbonda ancora grazie all’eredità sovietica. Il segretario della Difesa americano, Lloyd Austin, ha però dichiarato che la Russia è a corto di munizioni d’artiglieria e di quelle a guida di precisione. “Quella data da Austin non è un’informazione da poco – aggiunge Di Liddo – La dottrina russa si fonda sull’uso massiccio dell’artiglieria. Se le munizioni mancano, tutto l’impianto dottrinale va in crisi“. Inoltre, un grande dislivello sui numeri delle munizioni d’artiglieria pesante a disposizione non significa necessariamente un netto vantaggio per la Russia: “Il modo di combattere è diverso – dice l’analista – Il blocco occidentale ha a disposizione armi più precise, che non necessitano di bombardamenti massicci per colpire gli obiettivi. Diverso è il discorso per la Russia, che invece dispone di mezzi di scarsa precisione e, quindi, deve impiegare più munizioni per raggiungere il medesimo obiettivo. Inoltre, le caratteristiche del loro arsenale aumentano anche i rischi di ‘casi Polonia’. Questa volta l’errore è stato ucraino, fortunatamente, ma il rischio di un incidente causato dai russi è tutt’altro che improbabile”.
Sul fatto che le carenze da ambo le parti possano facilitare eventuali colloqui di pace, però, Di Liddo rimane scettico: “Possono portare a un rallentamento del conflitto, già un cessate il fuoco sarebbe un traguardo inaspettato nel breve termine – conclude – Ma non confondiamo il processo di pace col campo di battaglia. Entrambe le parti rimangono ferme su posizioni al momento inconciliabili. Finché non si arriverà a uno sfinimento militare e politico temo che non si fermeranno”.