di Renzo Canavesi

La sacrosanta battaglia in difesa del reddito di cittadinanza come misura di civiltà è fondamentale per l’intero movimento dei lavoratori. Mi sembra però che vengano sottovalutati alcuni aspetti.

Attualmente nei cambi di appalto o nelle clausole sociali, in modo diretto o con accordi sindacali, è consentito ai lavoratori che lo vogliono di non accettare la nuova proposta di lavoro e quindi andare in disoccupazione (Naspi) per 24 mesi a carico della collettività.

Vi sono poi accordi che consentono alle aziende di licenziare i lavoratori per collocarli in Naspi e contemporaneamente assumere personale in loro sostituzione. Anche qui si espellono lavoratori e collocati a carico della collettività per sostituirli con personale pagato di meno.

Basterebbe poi controllare tutti i licenziamenti consensuali (con accordi tra le parti) con pretestuosi provvedimenti disciplinari, spesso concordati, con la conclusione della collocazione dei lavoratori in Naspi sempre a carico della collettività.

Da ultimo ricordo gli accordi sindacali con lavoratori messi in cassa integrazione, contratti di solidarietà o fondi di integrazione salariale, e spesso sostituiti con lavoratori assunti dalle agenzie interinali o con contratti a termine. Con il risultato che la collettività paga i lavoratori sospesi che vengono poi sostituiti con altri pagati di meno e più facilmente ricattati.

Vi è quindi una logica nella canea che si sta facendo sul reddito di cittadinanza, che nella sostanza afferma questo: si deve dare un sussidio dallo Stato solo a fronte delle necessità delle aziende. Non a caso è proprio la Confindustria che si lamentava del fatto che con il reddito di cittadinanza si disincentivano le assunzioni. Negando però la realtà che vede proposte di assunzioni solo a termine e ad orari ridotti, con salari quindi attorno ai mille euro al mese.

Confindustria vede la necessità di intervento dello Stato con un reddito solo in funzione delle esigenze padronali e non come misura di civiltà di un paese. Tesi purtroppo accettata da buona parte del quadro politico nazionale.

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