Prima ci fu l’art. 84 Legge 27 dicembre 2002, n. 289 “Privatizzazione del patrimonio immobiliare delle regioni, degli enti locali e degli altri enti pubblici”. Poi ci furono le Olimpiadi invernali del 2006. Probabilmente, anche senza di esse e il debito pubblico che schizzò a quasi tre miliardi di euro, il Comune di Torino avrebbe venduto i gioielli di famiglia, ma certo la norma diede una solida base legale e la città subalpina ne approfittò. Poi, chiamiamola cartolarizzazione, chiamiamola valorizzazione, l’operazione è la vendita (spesso la svendita) degli immobili pubblici a privati. Una storia non a tutti nota, ma che vale invece la pena raccontare per tappe fondamentali.
La ex Diatto
La prima vicenda che corre l’obbligo ricordare è quella che riguarda la ex Diatto. La fabbrica della famiglia Diatto era ubicata in Borgo San Paolo e realizzava automobili da competizione con cui corsero anche Maserati e Nuvolari. La fabbrica fu ideata dall’architetto Fenoglio, in puro stile liberty, nel 1905. A seguito della fine delle attività della Diatto, lo stabilimento fu occupato negli anni Quaranta del ‘900 dalla Snia Viscosa, che poi a sua volta cessò le attività. L’intero stabilimento fu acquisito al patrimonio del Comune di Torino.
Nel 2007 il Comune rivolse alla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte una richiesta di verifica dell’interesse culturale dell’ex stabilimento. La Direzione ne evidenziò l’effettivo interesse culturale ed emanò il decreto di vincolo. Nonostante esso, stranamente, il Comune chiese nello stesso anno l’autorizzazione ad alienarlo.
La Direzione diede l’assenso, ma ricordando il vincolo. Di fatto era possibile operare un intervento di restauro conservativo, anche ai fini di un utilizzo residenziale, ma non era possibile ipotizzare la costruzione ex novo, sull’area, di nuovi insediamenti. Pochissimi giorni dopo il pronunciamento della Direzione Regionale: precisamente in data 20 dicembre 2007, il Comune cedeva la proprietà dello stabilimento così vincolato al Fondo Città di Torino-Fondo Comune di Investimento Immobiliare Speculativo di tipo chiuso, le cui quote erano così ripartite: Comune di Torino (35%), Prelios SpA (ex Pirelli RE, 36%), Equiter SpA (Intesa San Paolo, 29%).
Incredibilmente, nonostante l’immobile fosse sempre lo stesso, la Direzione Regionale, in data 9 aprile 2010, toglieva di fatto il vincolo allo stesso. Il nuovo proprietario, ovviamente, ne approfittava e nel 2013 lo stabilimento veniva abbattuto, nonostante l’opposizione del comitato di cittadini Snia Rischiosa e nel periodo a seguire al posto degli alloggi di pregio restavano solo macerie. Anni dopo la Prelios, dal 2018 controllata dalla Lavaredo SpA di Fabrizio Palenzona, evitava il fallimento e il Fondo Città di Torino decideva di vendere l’intera area. Entro il prossimo anno verrà realizzato sul posto uno studentato composto da 582 mini appartamenti. Il nuovo proprietario sarà il fondo di investimento tedesco Patrizia. Un’operazione da ben settanta milioni di euro. A quanto il Comune abbia venduto l’area non mi è dato sapere, nonostante le ricerche fatte.
La Cavallerizza Reale
In modo simile è andata la vicenda della Cavallerizza Reale, complesso monumentale ubicato in pieno centro storico, dietro al Teatro Regio, complesso risalente al 1740 e vincolato dall’Unesco con provvedimento in data 1 giugno 1997, insieme a tutte le residenza sabaude. In data 15 aprile 2003 il Comune di Torino sigla un protocollo di intesa col Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’acquisizione di tutto il complesso della Cavallerizza Reale, con lo scopo di destinarlo – si noti bene – ad “esigenze istituzionali proprie”. Nonostante ciò, nel 2005 il Comune chiede alla Soprintendenza per i beni architettonici del Piemonte l’autorizzazione alla vendita che viene concessa in data 1 agosto 2005 con un provvedimento di autorizzazione all’alienazione contestuale alla dichiarazione di interesse. La proprietà si tripartisce (Comune, Cct Srl con unico socio il Comune, Cdp), ma la volontà resta univoca: fare cassa.
È così che il Consiglio Comunale approva una delibera l’8 febbraio 2021 con cui si definisce il destino del complesso monumentale sabaudo: un ostello/hotel, residenze, servizi artigianali, sedi di fondazioni e organizzazioni. Il 18 ottobre l’asta, per la quale si presenta un unico soggetto offerente – la Compagnia di San Paolo in sinergia con Unito – con una proposta da 11 milioni e 305 mila euro. Contro la privatizzazione si muovono intellettuali torinesi, e non, che scrivono al ministro Dario Franceschini affinché eserciti il diritto di prelazione. Senza esito.
Il motovelodromo
Con il successo che sta avendo l’attività ciclistica nel mondo, uno si aspetterebbe che un comune che abbia in proprietà un motovelodromo farebbe carte false pur di mantenerne l’utilizzo aprendolo alla cittadinanza. Torino – come Roma e Milano – ne ha appunto uno, in precollina, vincolato dalla soprintendenza, ma, tanto per cambiare, abbandonato da anni, nonostante la giunta Appendino abbia fatto della mobilità sostenibile un proprio punto di forza. Anziché valutare una partnership con qualche privato (esempio: imprese in campo ciclistico) per un recupero, ecco che invece il governo della città nel febbraio 2021 ne mette all’asta l’utilizzo senza porre alcun vincolo.
Se lo aggiudica tale Padel M2, per una concessione di 60 anni, staccando un assegno da 350mila euro (cioè neanche sei mila euro all’anno, 500 euro al mese…). Ovviamente il motovelodromo verrà svuotato e stravolto: un campo da calcio a otto convertibile in una struttura da rugby, campi da beach volley, piscine, piste da bici (ma guarda un po’…), campi di atletica, bar, punti ristoro e spazi espositivi.
Continua…