Fino al 1963 le donne non potevano accedere ad alcun incarico in magistratura e la motivazione era la seguente: “Fisiologicamente fra un uomo e una donna ci sono differenze nella funzione intellettuale, e questo specie in determinati periodi della vita femminile” laddove la locuzione “determinati periodi della vita femminile” sta per mestruazioni. Come dire, se un magistrato donna doveva sentenziare, magari condannando l’imputato, mentre aveva il ciclo mestruale, il suo giudizio poteva essere compromesso da uno stato fisico e psichico non sereno, a causa, appunto, delle mestruazioni; ne consegue che se invece il giudice è maschio e, al momento di sentenziare, è di pessimo umore o con il mal di pancia o comunque afflitto per qualsiasi altro disturbante motivo, allora è tutto ok, sentenzi pure, anche se malamente.
È questa una delle tante ridicole (se non fossero tragiche) conseguenze che per secoli hanno limitato le donne a causa delle mestruazioni. Il tema è affrontato con potente humor, ma anche con tanta informazione, da Marinella Manicardi, attrice e scrittrice emiliana, in tournée in questi giorni in Liguria con il monologo Corpi impuri tratto dal suo omonimo libro edito da Odoya.
Parte da lontano, Manicardi. Per esempio, da Aristotele (IV secolo a.C.) che sosteneva, in base alla sua “teoria del calore”, che “l’elemento vitale, lo sperma, lo mette l’uomo come si può facilmente vedere e toccare, mentre la donna mette quello che può: il mestruo, che trattenuto all’interno dell’utero per nove mesi nutrirà il feto”. Circa 5 secoli dopo il medico romano Galeno tira fuori un’altra teoria: siccome la donna non ce la fa a estroflettere i propri organi genitali (come invece avviene per l’uomo), mancandole il sufficiente “calore aristotelico”, a forza di spingere (inutilmente) emette “sangue in eccesso che, se non serve a nutrire il feto, esce attraverso le perdite mestruali”. Infine, la teoria di Tertulliano, apologeta cristiano del II secolo d.C.: “Gli organi sessuali della donna non sono esposti all’esterno per colpa del Peccato Originale di Eva! E il mestruo, lo sporco e schifoso sangue mestruale ne è la prova”. Tutto ciò ha creato, fra sacro e mestruazioni, potenti coniugazioni, con conseguenti tabù, che ancora oggi non sono del tutto cancellati.
Dal punto di vista etimologico, la parola ‘mestruazione’ deriva dal latino menstruus ovvero “una volta al mese”, aggettivo del sostantivo mensis “mese”. Eppure, oggi, il termine mestruazioni continua a subire censure, salvo, forse, all’interno dello studio di un ginecologo. E la condanna lessicale la si ritrova anche negli spot pubblicitari degli assorbenti e dei tamponi dove (ancora nel 2022!) ‘quella parola’ non viene usata. Mai. Ci sono altri ipocriti modi di dire, anche nella lingua parlata: dal più comune “ho le mie cose” a “sono in quei giorni” a “ho le regole”. Anni fa c’era chi definiva la mestruazione “il marchese” (si dice per via del colore rosso delle palandrane dei nobili).
C’è poi l’indotto: solo dopo la recente promulgazione della Legge di Bilancio 2022 le donne conseguiranno la cosiddetta “tampon tax” ovvero il calo dell’Iva sugli assorbenti da 22 al 19%, pur essendo necessari, da sempre, in Italia, a milioni di donne.
Prima dell’invenzione degli assorbenti le norme igieniche erano assai scarse e le donne si arrangiavano come potevano. Ancora fino alla fine degli anni 60 del secolo scorso, venivano utilizzate le cosiddette ‘pezze’, in pratica dei piccoli teli di cotone ripiegati che venivano ogni volta lavati e riciclati. E che dire di tante diffuse idiozie? Se hai le mestruazioni non puoi fare il bagno in mare; non azzardarti a montare la maionese (verrebbe uno schifo); se ti metti vicino a una zucca marcirà; se ti appoggi a un albero le mele ti cadranno in testa (eppure Newton non aveva certo le mestruazioni); se guardo uno specchio si appanna; se vuoi piantare un fiore non farlo, morirà di sicuro; non toccare la botte con il vino nuovo, diventerà aceto; non guardare una donna incinta perché nascerà un figlio strabico; se ti azzardi ad avere rapporti sessuali nascerà un figlio malato.
Oggi, fortunatamente, certe sciocchezze non le racconta quasi più nessuno, ma il tabù “mestruazioni” resta fortemente ancorato nell’inconscio di molti al sacro antropologico e ancestrale che, da centinaia dei secoli, ci portiamo dentro. Le conquiste del femminismo hanno cancellato molti tabù ma, chissà perché, di mestruazioni non parla volentieri nessuno, pur trattandosi di un fenomeno naturale, per troppo tempo ripudiato e nascosto. Ricorda Giancarla Codrignani (parlamentare per tre legislature) nella postfazione al libro dia Manicardi: “Non so se Luciana Castellina (deputata della sinistra, nda) se ne fosse resa conto, ma quando, durante la discussione parlamentare sull’aborto (1978, ndr), pronunciò la parola ‘mestruazioni’ (che certo echeggiava lì per la prima volta) l’aula di Montecitorio fu percorsa da una vibrazione atmosfericamente percepibile, e sono sicura che furono i maschi ad emettere il loro sconcerto”. Sarebbe ora di finirla.