Da giorni tra gli addetti ai lavori della Stazione Marittima di Genova non si fa che parlare dell’ aggressione subita da una giovane addetta alle pulizie dei bagni pubblici la sera della scorsa domenica 13 novembre. Una storia di denuncia che, nella Giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne, permette di raccontare le condizioni di tante donne costrette ogni giorno a lavorare in condizioni di rischio per la propria sicurezza. E, molto spesso, a causa della precarietà e delicatezza delle proprie posizioni, sono le stesse donne che poi non possono farsi sentire.
La testimonianza che ilfattoquotidiano.it ha raccolto in video è quella di una lavoratrice di origine nigeriana che, da diversi anni, lavora per la cooperativa che gestisce le pulizie dell’area portuale. “C’era una fila davanti al bagno delle donne – dice la giovane donna – dentro al bagno si era chiuso un uomo che fumava e parlava al telefono, mi sono limitata a fargli presente che quelli erano i servizi femminili, che doveva uscire”. In tutta risposta l’uomo, un autotrasportatore che spesso frequenta il Porto di Genova, si è scagliato contro la donna con insulti razziali prima, e botte poi. “Mi ha preso a calci e pugni, buttato per terra e colpito ripetutamente tra le gambe, fino a quando non ho iniziato a sanguinare – denuncia la donna, che è ancora in malattia a seguito del ricovero di due giorni con 18 giorni di prognosi proprio a causa delle percosse subite – per farlo smettere ho iniziato a urlare che ero incinta. Quando l’uomo si è reso conto che ero piena di sangue anche sul volto e avevo chiamato le guardie giurate ha provato scappare ma l’ho afferrato per la felpa, finendo scaraventata per terra ma riuscendo così a farlo fermare e identificare dalla guardia costiera, sopraggiunta anche grazie ai passeggeri che nel frattempo avevano assistito allibiti alla scena”.
La donna è riuscita a denunciare e si augura che l’aggressore non resti impunito. Il giorno successivo si è recato nello stesso posto trovando la reazione dei portuali: “Non potevamo consentire che una persona che la sera prima si era comportata in quel modo potesse tornare poche ore dopo – spiegano – così l’abbiamo segnalato e fatto inserire nella ‘black-list’”. Se in questo caso la donna aggredita ha saputo coraggiosamente “reagire, denunciare e farsi aiutare da colleghi e passanti – commenta la vicenda Manuela Caccioni, responsabile del Centro Antiviolenza Mascherona – c’è da segnalare come nella maggior parte dei casi sono proprio le aggressioni alle categorie più fragili, donne e straniere che lavorano in contesti spesso poco sicuri, le più difficili da fare emergere”. Per l’esperta del centro che ogni giorno accompagna e protegge donne che subiscono violenze, domestiche e no: “La difficoltà più grossa è quella di sentirsi libere di denunciare senza rischio di non essere credute, per questo è fondamentale diffondere una cultura di attenzione e solidarietà, invitare sempre a denunciare e far conoscere l’esistenza di centri antiviolenza che nascono proprio per sostenere questi percorsi di emancipazione”.
Oggi, 25 novembre, ricorre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. I dati sulle aggressioni alle donne sul posto di lavoro sono molto difficili da raccogliere e ancora parziali. Come riportato dall’ultimo report del Viminale, dal primo gennaio al 20 novembre, sono state uccise 104 donne, di cui 88 uccise in ambito familiare e affettivo; di queste, 52 hanno trovato la morte per mano del partner o ex. Secondo i nuovi dati delle Nazioni unite, nel 2021 più di cinque donne e ragazze sono state uccise ogni ora da un membro della famiglia: 45.000 donne e ragazze – più della metà (56%) delle 81.100 vittime di omicidi lo scorso anno in tutto il mondo – sono state uccise dal marito, partner o altro parente.