Coglie nel segno la presidente Giorgia Meloni quando connota la manovra di bilancio approvata come “politica” anziché economica. Dal versante economico, infatti, è una “manovrina” visto che ben 21 miliardi di euro sui 35 totali sono finalizzati a fronteggiare i prossimi 3 mesi alleviando il “caro bollette” di imprese e famiglie povere. Il resto si risolve in una spruzzatina di quattrini decisi secondo una logica di “bilancio familiare” caro alla premier. Ma, attenzione, alle famiglie povere (Isee fino a 15mila euro) vanno appena 9 dei 21 miliardi per il caro bollette mentre quelli riconosciuti alle imprese prendono la forma del credito d’imposta che viene presentato come un sostegno alla crescita.
Ma è la verità? Magari così fosse! Invece si gioca sull’ambiguità del concetto di agevolazioni concesse dallo Stato alle imprese che, nel caso dei finanziamenti, erogano liquidità per effettuare investimenti (e, auspicabilmente, crescita economica) mentre nel caso del credito d’imposta agiscono sul versante delle tasse. Come? Con uno sconto sui tributi da pagare a fine anno per compensare eventuali debiti aziendali o per il pagamento dei tributi dovuti nell’anno o per chiedere un rimborso nella dichiarazione dei redditi.
In sostanza, oltre un terzo della manovra va a sanare situazioni aziendali del passato che niente hanno a che fare con la loro attività del futuro. La parte rimanente? Una spesa statale da bilancio familistico, come diceva la premier, dall’esito men che insignificante: eccone alcuni esempi. Il taglio dell’Iva su pane, latte e pasta porterebbe, per una famiglia, ad un risparmio mensile di 1,8 euro visto che la media di una famiglia (dati Istat) è pari a 545 euro annui. La riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori? Un risibile 2% sui percettori di reddito fino a 35 mila euro (lordi) e del 3% per i redditi fino a 20mila euro! Più che un cuneo, una scheggetta. Spiccioli, dunque, e molto meglio sarebbe stato rinnovare il bonus di 200 fatto dal governo Draghi!
La manovra politica, invece? Assai più roboante e densa. Per primo, viene il reddito di cittadinanza (RdC) alla cui riduzione viene attribuito l’onere di finanziare una parte significativa delle spese viste in precedenza. Agli “occupabili” (ideologicamente prescelti) è riconosciuto il RdC per un massimo di 7/8 mesi, una parte del quale, però, deve essere speso per partecipare a corsi di formazione o riqualificazione professionale (pena la decadenza). Chi rifiuta la prima offerta congrua (entro 100 km. da casa) decade, inoltre, dal beneficio. La revisione del RdC è annunciata per il 2023.
Domanda attuale: è giustizia sociale escludere le famiglie che hanno un reddito inferiore a 10mila euro (vedi RdC) perché hanno un lavoratore astrattamente “occupabile” ma che, in realtà, è sotto-occupato o non occupato? Ci è chiaro che il RdC, sostiene (temporaneamente) i “nuclei familiari” e non le persone singole (ridimensionate a furbetti)?
Per seconda viene l’estensione della Flat-Tax da 60mila a 85mila euro. Che significa meno entrate per lo Stato visto che si pagherà solo il 15% anche nello scaglione di reddito 60-85mila euro. È chiaro che l’onere di coprire il “buco” delle minori entrate ricade sui soliti noti, ovvero sul lavoro dipendente e sui pensionati, pubblici e privati?
L’onore del terzo posto spetta alla riattivazione della società sul ponte sullo Stretto di Messina spa, attualmente in liquidazione. E sul quale ogni commento è superfluo posto che i primi a non volerlo sono i diretti interessati.
Quale, dunque, la valutazione conclusiva? Che è una manovra del tutto in linea con le scelte evidenziate e sottoscritte da Meloni e Giancarlo Giorgetti nella Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, aggiornata il 4 novembre 2022 e sulla quale ho già scritto. E cioè con la previsione di un intervento pubblico pressoché nullo rispetto a quanto il mercato ha in serbo per il nostro bel paese (il 2023 sarà, al meglio, una stagnazione, ma, più verosimilmente, una recessione). Alla quale si accompagna, con questa manovra, una redistribuzione del reddito dalle famiglie povere e dalle aree del paese in maggiore sofferenza verso le imprese e, in misura inferiore, ad un ceto medio oramai filiforme o “acciugaceo”.
La manovra “politica” contiene le aspirazioni e le istanze di Forza Italia (il credito d’imposta a favore delle imprese, il ponte sullo Stretto spa e il contributo per le scuole paritarie), quelle della Lega (ridimensionamento del RdC, anziché la sua estensione agli immigrati attraverso l’abbattimento della soglia dei 10 anni che penalizza gli immigrati economici) e quelle, minimali, di Fratelli d’Italia (il bilancio familiare per mini-categorie di beneficiari) che, probabilmente, paga dazio ai partiti sodali per la sua leadership.
Ma il rimando sine die dei fabbisogni dell’Italia di rafforzamento della crescita economica, di contrasto del lavoro povero, di inclusione sociale e lavorativa dei lavoratori inutilizzati, di contrasto all’evasione fiscale e contributiva, di rafforzamento della sanità e della promozione dei giovani è accettabile? Un segnale di speranza era doveroso. Assente, purtroppo.