Mentre si celebra la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, in Qatar le magliette con la scritta “Woman Life Freedom” diventano vietate negli stadi dove sono in corso i Mondiali di calcio. Diversi tifosi infatti sono stati fermati fuori dall’impianto Bin Ali di Al Rayyan prima del match Galles–Iran: come raccontano i reporter presenti sul post, le maglie simbolo della protesta per i diritti delle donne in Iran sono state sequestrate dalle autorità di polizia e dagli addetti alla sicurezza. Non solo: altri video mostrano gli steward che sequestrano bandiere e magliette anche all’interno dell’impianto, sugli spalti, mentre è in corso la partita. Uno scandalo, soprattutto per la Fifa: l’organo di governo del pallone aveva garantito che quantomeno la libertà di espressione e la difesa dei diritti sarebbero state tutelate. Invece prima ha vietato ai capitani di indossare la fascia “One Love” per i diritti Lgbt, ora consente che a una partita dei Mondiali non si possa assistere con una maglietta che chiede semplicemente “libertà” per le donne. Una censura ancora più odiosa, perché arrivi proprio oggi 25 novembre, appunto la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
لشکر صابرین، واحد قطر!#SayTheirNames #WALIRN #Qatar2022 pic.twitter.com/7Fdq0y9Hss
— Yashar (@Yashar_sn) November 25, 2022
“Woman Life Freedom” è lo slogan che è stato utilizzato sugli spalti durante la prima partita dell’Iran ai Mondiali in Qatar, quella contro l’Inghilterra. Magliette e striscione per sottolineare pacificamente la propria vicinanza ai manifestanti iraniani che da oltre due mesi protestano contro il regime di Teheran, chiedendo appunto una maggiore tutela dei diritti delle donne. Anche oggi, moltissimi tifosi iraniani si sono presentati allo stadio con la maglietta e la bandiera con la scritto “Woman Life Freedom”, in alcuni casi riportata anche sulle braccia. Altre tifose avevano anche la scritta “Mahsa Amini” sulle mani o sulla maglia. Alcuni sostenitori hanno anche mostrato lo striscione “Libertà per l’Iran, non per la Repubblica Islamica”.
All’esordio contro gli inglesi, i calciatori dell’Iran non avevano cantato l’inno nazionale: una forma di protesta che aveva fatto il giro del mondo. Oggi invece hanno cantato prima della seconda partita dei mondiali contro il Galles. Secondo alcuni fonti, sono stati minacciati dal regime. Di certo c’è che nel frattempo, ieri, è arrivata la notizia che il loro ex compagno di squadra, il calciatore Voria Ghafouri, è stato arrestato davanti al figlio e portato in carcere con l’accusa di “propaganda” e “insulto della reputazione della nazionale”. Da molti, questo arresto è stato interpretato come un monito rivolto ai giocatori iraniani presenti in Qatar: anche gli sportivi che manifestano appoggio alle proteste finiscono in carcere. Con chissà quale destino.
ویدیوی رسیده به ایران اینترنشنال نشان میدهد که روز جمعه چهارم آذرماه، مسئولان قطری ورزشگاه محل بازی ایران و ولز، با ایرانیانی که پرچم «زن زندگی آزادی» به دست دارند برخورد میکنند pic.twitter.com/RjxwbQfmF7
— ايران اينترنشنال (@IranIntl) November 25, 2022
Il Team Melli – così è chiamata la nazionale iraniana – si porta dietro le scorie di tre mesi di terrore. La situazione è precipitata a metà settembre, quando si è diffusa la notizia della morte in carcere di Mahsa Amini, la ragazza di 22 anni che era stata arrestata dalla polizia morale per aver violato il rigido codice di abbigliamento islamico. Indossava il velo in maniera non corretta. E per questo meritava di essere imprigionata. Il giorno dei suoi funerali, il 17 settembre, è partita una lunga protesta che col passare delle settimane è costantemente aumentata di intensità. Così come la repressione.
Sono almeno 445 i dimostranti che sono stati uccisi dall’inizio delle proteste , secondo le stime per l’agenzia stampa degli attivisti per i diritti umani, Hrana, che ha sede negli Stati Uniti. Tra le persone rimaste uccise negli scontri si contano 63 minori e vi sono anche 57 agenti di sicurezza uccisi negli scontri. Secondo i dati di Hrana, sono state arrestate 18.170 persone, delle quali si conosce l’identità di 3.234. E sono 156 le città grandi e piccole in tutto il Paese in cui si è sviluppata la protesta. E le violenze delle regime potrebbero ancora peggiorare.