Ancora una volta la verità processuale su uno dei tanti eventi stragisti che hanno colpito l’Italia viene scalzata da una ricostruzione alternativa: secondo la relazione finale della disciolta Commissione parlamentare antimafia, anticipata dal Fatto – scritta e approvata nel settembre scorso nelle more del passaggio di legislatura – la strage del maggio 1993 che colpì via dei Georgofili, cuore storico e artistico di Firenze, deve essere considerata un fatto criminale ibrido. Significa che non ha coinvolto solo soggetti appartenenti a Cosa nostra, come stabilito, appunto, nei processi. Al contrario tutti gli elementi raccolti portano a definirla una “operazione criminale di falsa bandiera“, nella quale, cioè, l’apporto ideativo o operativo, o magari entrambi, sono espressione di più “anime”, anche se appositamente vengono lasciate tracce per far credere alla esistenza di una sola paternità.
La tecnica delle “false bandiere” rientra nella strategia di guerra e prende il nome dalla pratica dei pirati di lasciar sventolare una bandiera amica prima di attaccare, perfidamente attirando così il nemico. Ma i corsari, pochi attimi prima della battaglia, esponevano il loro vero simbolo, mettendoci la faccia. Invece, nella storia dello stragismo italiano, il doppio livello è sempre costituito da persone o centri di potere occulti. Ilfattoquotidiano.it vi ha già descritto in anteprima l’esito della inchiesta dell’Antimafia che ha portato alla scoperta di un nuovo identikit di donna – mai reso pubblico dagli inquirenti e dalla Procura di Firenze – ritenuta coinvolta nell’attacco del maggio ’93: raffigura il volto di una giovane con i capelli a caschetto. I Carabinieri di Firenze hanno trasmesso alla Commissione un photo-fit che riproduce il volto della donna, 25 anni circa, corporatura magra, capelli scuri, corti e lisci, altezza di circa metri 1.70. Sarebbe lei, secondo la testimonianza acquisita dall’inquirente parlamentare, la donna vista allontanarsi da via de’ Bardi, a poche centinaia di metri dal luogo della strage, con un pesante borsone: è stata appena parcheggiata l’autobomba, il Fiorino bianco, da parte di due persone sconosciute. Siamo intorno alla mezzanotte del 26 maggio 1993, ossia pochi attimi prima della potente esplosione nella vicina via dei Georgofili.
La presenza femminile non è stata mai riscontrata da nessuno dei diversi collaboratori che hanno parlato: descrivendo e raccontando ciò che sapevano dei fatti che li hanno visti protagonisti a vario titolo, Gaspare Spatuzza, Vincenzo Ferro, Giuseppe Ferro e Cosimo Lo Nigro non hanno mai parlato di una donna. E, del resto, una presenza di donna non è compatibile con il profilo mafioso delle filiere criminali riconducibili a Matteo Messina Denaro e ai fratelli Graviano, padroni del mandamento palermitano di Brancaccio, che hanno curato la logistica e il trasporto di una parte dell’esplosivo deflagrato nel capoluogo toscano, così firmando l’evento. L’autobomba, inoltre, venne sì imbottita con l’esplosivo dai siciliani ma poi passò di mano poco prima del suo collocamento nel cuore di Firenze: la quantità di tritolo “mafioso” collocata nell’auto è rilevante, circa 120/130 chilogrammi. Tutto è stato allestito nel garage di Antonino Messana, fiancheggiatore dei mafiosi, intorno alle ore 22 del 26 maggio 1993. Poi però venne aggiunta una ingente carica di esplosivo di natura militare, sicché “la deflagrazione di siffatta micidiale miscela ebbe effetti ancor più devastanti”, si legge nel documento parlamentare. Di nuovo, silenzio dei pentiti su questa sostanza deflagrante. Non ne sanno nulla.
Basata su una analisi documentale – fonti aperte e documenti acquisiti presso gli archivi dell’Associazione vittime delle stragi, presso l’Arma dei Carabinieri, la Polizia di Stato, il Dis e l’Aisi – e su varie testimonianze (tra cui quelle del sostituto Commissario di Polizia Carlo Benelli, già collaboratore di Piero Vigna, di Danilo Ammannato, storico legale di parte civile nei processi fiorentini, e dell’esperto di esplosivi Gianni Giulio Vadalà, consulente del pm di Firenze), la relazione dell’Antimafia, firmata dall’ex senatore Mario Giarrusso, rafforza l’idea di una nuova metodologia per affrontare casi criminali complessi e apparentemente inestricabili. Anche le stragi di Milano e Roma potrebbero essere ricomposte e comprese fino in fondo indagando nella direzione di un contributo criminale alternativo a quello mafioso. Non solo. L’ipotesi delle false bandiere è già stata avanzata in passato per analizzare casi complessi della nostra storia che non hanno trovato una piena verità giudiziaria: ci riferiamo alla misteriosa morte dell’editore Giangiacomo Feltrinelli (14 marzo 1972) e agli omicidi del commissario Luigi Calabresi (17 maggio 1972) e del giovane militante di Democrazia Proletaria Peppino Impastato (9 maggio 1978). Elementi significativi, anche in quelle vicende, inducono a ritenerli casi di operazioni realizzate sotto “false bandiere”, un metodo che fino ad oggi ha avuto scarsa attenzione da parte dei nostri inquirenti.
Mafie
“Non solo Cosa nostra, ma un doppio livello: la strage di via dei Georgofili fu un’operazione di falsa bandiera”. La relazione parlamentare
Secondo il documento finale della Commissione bicamerale antimafia che ha indagato nella scorsa legislatura, la bomba del maggio 1993 che colpì il cuore Firenze dev'essere considerata un fatto criminale ibrido, che cioè non ha coinvolto solo soggetti mafiosi: al contrario, tutti gli elementi raccolti portano a ritenerla espressione di più “anime”. Un nuovo approccio che potrebbe aiutare a comprendere altri casi complessi e apparentemente inestricabili
Ancora una volta la verità processuale su uno dei tanti eventi stragisti che hanno colpito l’Italia viene scalzata da una ricostruzione alternativa: secondo la relazione finale della disciolta Commissione parlamentare antimafia, anticipata dal Fatto – scritta e approvata nel settembre scorso nelle more del passaggio di legislatura – la strage del maggio 1993 che colpì via dei Georgofili, cuore storico e artistico di Firenze, deve essere considerata un fatto criminale ibrido. Significa che non ha coinvolto solo soggetti appartenenti a Cosa nostra, come stabilito, appunto, nei processi. Al contrario tutti gli elementi raccolti portano a definirla una “operazione criminale di falsa bandiera“, nella quale, cioè, l’apporto ideativo o operativo, o magari entrambi, sono espressione di più “anime”, anche se appositamente vengono lasciate tracce per far credere alla esistenza di una sola paternità.
La tecnica delle “false bandiere” rientra nella strategia di guerra e prende il nome dalla pratica dei pirati di lasciar sventolare una bandiera amica prima di attaccare, perfidamente attirando così il nemico. Ma i corsari, pochi attimi prima della battaglia, esponevano il loro vero simbolo, mettendoci la faccia. Invece, nella storia dello stragismo italiano, il doppio livello è sempre costituito da persone o centri di potere occulti. Ilfattoquotidiano.it vi ha già descritto in anteprima l’esito della inchiesta dell’Antimafia che ha portato alla scoperta di un nuovo identikit di donna – mai reso pubblico dagli inquirenti e dalla Procura di Firenze – ritenuta coinvolta nell’attacco del maggio ’93: raffigura il volto di una giovane con i capelli a caschetto. I Carabinieri di Firenze hanno trasmesso alla Commissione un photo-fit che riproduce il volto della donna, 25 anni circa, corporatura magra, capelli scuri, corti e lisci, altezza di circa metri 1.70. Sarebbe lei, secondo la testimonianza acquisita dall’inquirente parlamentare, la donna vista allontanarsi da via de’ Bardi, a poche centinaia di metri dal luogo della strage, con un pesante borsone: è stata appena parcheggiata l’autobomba, il Fiorino bianco, da parte di due persone sconosciute. Siamo intorno alla mezzanotte del 26 maggio 1993, ossia pochi attimi prima della potente esplosione nella vicina via dei Georgofili.
La presenza femminile non è stata mai riscontrata da nessuno dei diversi collaboratori che hanno parlato: descrivendo e raccontando ciò che sapevano dei fatti che li hanno visti protagonisti a vario titolo, Gaspare Spatuzza, Vincenzo Ferro, Giuseppe Ferro e Cosimo Lo Nigro non hanno mai parlato di una donna. E, del resto, una presenza di donna non è compatibile con il profilo mafioso delle filiere criminali riconducibili a Matteo Messina Denaro e ai fratelli Graviano, padroni del mandamento palermitano di Brancaccio, che hanno curato la logistica e il trasporto di una parte dell’esplosivo deflagrato nel capoluogo toscano, così firmando l’evento. L’autobomba, inoltre, venne sì imbottita con l’esplosivo dai siciliani ma poi passò di mano poco prima del suo collocamento nel cuore di Firenze: la quantità di tritolo “mafioso” collocata nell’auto è rilevante, circa 120/130 chilogrammi. Tutto è stato allestito nel garage di Antonino Messana, fiancheggiatore dei mafiosi, intorno alle ore 22 del 26 maggio 1993. Poi però venne aggiunta una ingente carica di esplosivo di natura militare, sicché “la deflagrazione di siffatta micidiale miscela ebbe effetti ancor più devastanti”, si legge nel documento parlamentare. Di nuovo, silenzio dei pentiti su questa sostanza deflagrante. Non ne sanno nulla.
Basata su una analisi documentale – fonti aperte e documenti acquisiti presso gli archivi dell’Associazione vittime delle stragi, presso l’Arma dei Carabinieri, la Polizia di Stato, il Dis e l’Aisi – e su varie testimonianze (tra cui quelle del sostituto Commissario di Polizia Carlo Benelli, già collaboratore di Piero Vigna, di Danilo Ammannato, storico legale di parte civile nei processi fiorentini, e dell’esperto di esplosivi Gianni Giulio Vadalà, consulente del pm di Firenze), la relazione dell’Antimafia, firmata dall’ex senatore Mario Giarrusso, rafforza l’idea di una nuova metodologia per affrontare casi criminali complessi e apparentemente inestricabili. Anche le stragi di Milano e Roma potrebbero essere ricomposte e comprese fino in fondo indagando nella direzione di un contributo criminale alternativo a quello mafioso. Non solo. L’ipotesi delle false bandiere è già stata avanzata in passato per analizzare casi complessi della nostra storia che non hanno trovato una piena verità giudiziaria: ci riferiamo alla misteriosa morte dell’editore Giangiacomo Feltrinelli (14 marzo 1972) e agli omicidi del commissario Luigi Calabresi (17 maggio 1972) e del giovane militante di Democrazia Proletaria Peppino Impastato (9 maggio 1978). Elementi significativi, anche in quelle vicende, inducono a ritenerli casi di operazioni realizzate sotto “false bandiere”, un metodo che fino ad oggi ha avuto scarsa attenzione da parte dei nostri inquirenti.
LA REPUBBLICA DELLE STRAGI
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Parigi, 13 mar. (Adnkronos) - La regina Camilla ha inviato una lettera a Gisele Pelicot, la donna francese che il marito ha fatto violentare per anni da decine di uomini, per "esprimerle la sua solidarietà ai massimi livelli". Lo ha riferito a Newsweek un collaboratore reale, aggiungendo che la sovrana, che lavora da anni per le vittime di violenza domestica, ha voluto riconoscere "la straordinaria dignità e il coraggio" della donna francese.
Dominique Pelicot ha ripetutamente drogato e violentato la moglie Gisèle per quasi un decennio, ha reclutato decine di uomini per fare lo stesso e ha filmato più di 200 di queste aggressioni in un caso che ha sconvolto la Francia e il mondo. E la regina "è rimasta profondamente colpita da questi fatti e dalla straordinaria dignità e dal coraggio di quella donna nel render pubblica la sua vicenda", ha affermato la fonte. "Naturalmente, ha contribuito a mettere in luce un problema sociale molto significativo, nonostante tutte le sofferenze personali che aveva attraversato".
"Quindi - prosegue la fonte reale - come sostenitrice di lunga data delle vittime di abusi domestici e sessuali, la regina ha scritto in privato a madame Pelicot, determinata a esprimerle al massimo il proprio sostegno." La lettera è un esempio del modo in cui Camilla intenda fare a livello globale ciò che fa regolarmente in Gran Bretagna - scrive il Newsweek - come dimostra la visita del 6 febbraio a Brave Spaces, a Exeter, nel sud-ovest dell'Inghilterra. L'organizzazione benefica spera di trovare una sede permanente, ma al momento offre supporto alle vittime di violenza domestica da una stanza sul retro del CoLab, uno sportello unico che fornisce servizi di supporto a una moltitudine di persone vulnerabili.
Quando la busta con il sigillo della famiglia reale britannica è arrivata insieme a migliaia di lettere di sostegno, la signora Pelicot "era sbalordita, commossa e molto orgogliosa di vedere che era riuscita a portare la sua battaglia fino alla famiglia reale britannica", ha detto a Le Monde l'avvocato della donna, Antoine Camus.
Il processo per stupro di massa, durato tre mesi in Francia lo scorso autunno, ha visto 51 uomini condannati per un totale di 428 anni. L'elettricista in pensione Pelicot è stato incarcerato alla pena massima di 20 anni. La 72enne, che The Independent ha definito la donna più influente del 2025, ha coraggiosamente scelto di rinunciare all'anonimato durante il processo che si è svolto nel villaggio di Mazan, nel sud-est della Francia.
Tel Aviv, 13 mar. (Adnkronos) - "In merito all'accusa del sangue pubblicata dalla 'Commissione d'inchiesta': è uno dei peggiori casi di accusa del sangue che il mondo abbia mai visto (e il mondo ne ha visti molti). Accusa le vittime dei crimini commessi contro di loro. Hamas è l'organizzazione che ha commesso orrendi crimini sessuali contro gli israeliani. È davvero un documento malato che solo un'organizzazione antisemita come l'Onu potrebbe produrre". Lo ha scritto su X il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Oren Marmorstein.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - Si terrà la prossima settimana, probabilmente giovedì 20 marzo, una seduta straordinaria della Camera dei deputati di tre ore e mezza per discutere le mozioni delle opposizioni sull'emergenza carceri. Lo ha stabilito la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio.
Ramallah, 13 mar. (Adnkronos) - Secondo la Società dei prigionieri palestinesi e la Commissione per gli affari dei prigionieri ed ex prigionieri, almeno 25 palestinesi sono stati arrestati dalle forze israeliane durante le ultime incursioni nella Cisgiordania occupata. Tra gli arrestati ci sono una donna e diversi ex prigionieri, si legge nella dichiarazione congiunta su Telegram. Aumentano gli arresti a Hebron, dove secondo l'agenzia di stampa Wafa oggi sono state arrestate 12 persone, tra cui 11 ex prigionieri.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - "Non c'è stato l'affidamento da parte del governo di infrastrutture critiche del Paese a Starlink" e "come già rassicurato dal presidente Meloni ogni eventuale ulteriore sviluppo su questa questione sarà gestito secondo le consuete procedure". Lo ha detto il ministro dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani in Senato rispondendo a una interrogazione del Pd.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - Per quel che riguarda il piano 'Italia a 1 giga', "con riferimento alle aree più remote, il governo sta valutando con Starlink e altri operatori l'ipotesi di integrazione della tecnologia satellitare come complemento alle infrastrutture esistenti". Lo ha detto il ministro dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani rispondendo in Senato a una interrogazione del Pd.
"Nel caso specifico di Starlink, sono in corso delle interlocuzioni con alcune regioni italiane - del nord, del centro e del sud - per sperimentare la fornitura di un 'servizio space-based' rivolto ad aree remote o prive di infrastrutture terrestri. In ogni caso, si ribadisce che non sono stati firmati contratti nè sono stati conclusi accordi tra il governo italiano e la società Space X per l'uso del sistema di comunicazioni satellitari Starlink per coprire le aree più remote del territorio", ha chiarito Ciriani.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - "Presso la presidenza del Consiglio non è stato istituito alcun tavolo tecnico operativo per lo studio della concessione a Starlink della gestione delle infrastrutture di connessione e telecomunicazione delle sedi diplomatiche italiane o delle stazioni mobili delle navi militari italiane". Lo ha detto il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani rispondendo al Senato a una interpellanza del Pd.