Il consiglio comunale di Anzio (Roma) è stato sciolto il 21 novembre “in considerazione delle accertate forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata” e la gestione degli enti è stata affidata per 18 mesi a una commissione straordinaria. Lo ha deliberato il Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, dopo che a giugno un analogo provvedimento era stato preso per la confinante Nettuno. “È l’esito inevitabile dell’inchiestaTritone” coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma, che nel febbraio scorso ha inferto un colpo durissimo alla locale di ‘ndrangheta (la struttura di coordinamento dei clan, ndr) costituita da esponenti delle famiglie Madaffari, Gallace, Perronace e Tedesco, che operava come distaccamento del vertice di Santa Cristina d’Aspromonte”, ha commentato Gianpiero Cioffredi, presidente dell’Osservatorio per la sicurezza e la legalità del Lazio, che in questi giorni ha pubblicato “Mafie nel Lazio”, un dettagliato dossier sull’infiltrazione della criminalità organizzata nella regione.

Il bar del boss e la “classe dirigente” di Anzio – Il doppio rapporto, di oltre quattrocento pagine (la VI e la VII edizione sono state pubblicate insieme), dedica un capitolo all’infiltrazione della ‘ndrangheta nel litorale romano, iniziata negli anni Cinquanta e Sessanta. Uno dei colpi investigativi più importanti, però, è arrivato lo scorso 17 febbraio, quando alle tre del mattino i carabinieri eseguono l’ordinanza di custodia cautelare a carico di 65 appartenenti alla locale di Anzio e Nettuno, dedita secondo gli inquirenti al narcotraffico, i cui capi, Giacomo Madaffari e Bruno Gallace, godono di un alto prestigio nella gerarchia criminale. Coinvolti anche due carabinieri del Nucleo investigativo della compagnia di Anzio, arrestati con le pesanti accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e rivelazione di segreto d’ufficio. Madaffari, “detto Giacomino”, viene catturato nella sua villa di Anzio. Secondo il gip, il suo bar era “punto di riferimento per molti appartenenti alla “classe dirigente” di Anzio”: “La penetrazione della locale di ‘ndrangheta negli enti locali si è concretizzata con l’aggiudicazione degli appalti comunali, sfruttando i rapporti con i compiacenti esponenti degli organi comunali e ricorrendo, ove necessario, all’intimidazione con modalità mafiose”, si legge nell’ordinanza.

Il boss Gallace e i rapporti con Diabolik – Il dossier ricorda che nel territorio di Anzio e Nettuno hanno operato anche diramazioni della potente ‘ndrina di Rosarno, i Bellocco, che ha gestito il traffico di stupefacenti con Bruno Gallace e con la criminalità organizzata locale, tra cui esponenti del clan Spada-Di Silvio. Anche Fabrizio Piscitelli alias Diabolik, soggetto apicale della malavita romana assassinato con modalità mafiose il 7 agosto del 2019” è stato “di casa” per un certo periodo nel comune del litorale, “intrattenendo rapporti con Bruno Gallace”. Inoltre, “le sentenze definitive hanno statuito l’operatività in queste realtà locali del clan dei casalesi” nonché “della famiglia campana degli Esposito, dediti al narcotraffico e contigui al clan Senese”.

L’avanzata dei calabresi a Roma – Dalle indagini emerge poi un’evoluzione storica della presenza ‘ndranghetista nella Capitale, passata dal mero investimento in attività commerciali alla costituzione di una struttura di comando, come dimostra l’operazione nella primavera del 2022 contro la prima “locale” di Roma riconosciuta dal “Crimine di Polsi”, vertice della ‘ndrangheta. All’alba del 10 maggio vengono eseguite 43 misure cautelari nel Lazio e 34 in Calabria: le accuse sono di associazione mafiosa, cessione e detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni, truffa ai danni dello Stato aggravata dalla finalità di agevolare la ‘ndrangheta, riciclaggio aggravato, favoreggiamento aggravato e concorso esterno in associazione mafiosa. Viene disposto anche il sequestro di 24 società e di ristoranti, bar e pescherie nella zona nord di Roma, in particolare nel quartiere di Primavalle. L’inchiesta, coordinata dalla Dda di Roma in collaborazione con la Procura di Reggio Calabria, porta alla luce l’avanzata della mafia calabrese, che sfrutta la crisi dovuta alla pandemia di Covid per rilevare bar, pizzerie, ristoranti, pescherie, parrucchieri, aziende per il ritiro di pelli e di olii esausti, grazie a una disponibilità economica illimitata.

Il “vuoto di potere criminale” – Al vertice della “locale” due capi: Vincenzo Alvaro – celebre come proprietario del Café de Paris in via Veneto, sequestrato nel 2009 perché considerato una “lavatrice” del denaro delle cosche – e Antonio Carzo, detto ‘Ntoni Scarpacotta. Per gli inquirenti Alvaro era diventato un punto di riferimento anche per altri sodalizi criminali, come il clan camorrista dei Moccia, dedito a investimenti nella ristorazione e alle estorsioni. Secondo gli autori del rapporto, “il vuoto nel potere criminale” creato dalle retate che avevano tolto dalla piazza i “quattro re” della metropoli – Massimo Carminati, il camorrista Michele Senese, la famiglia Casamonica e il clan Fasciani – ha spinto i grandi capi della ‘ndrangheta a tentare il “salto di qualità”.

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