Ambiente & Veleni

Aria sempre più inquinata e nessun beneficio sulle bollette: le città con centrale a carbone pagano due volte la crisi. La lettera al governo

Gli obiettivi europei e il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima prevedevano l’abbandono del carbone da parte dell’Italia entro il 2025. Ma con la guerra in Ucraina e la conseguente crisi energetica le prospettive e le tempistiche sono totalmente cambiate. E ora i sindaci di Brindisi, Civitavecchia, La Spezia, Monfalcone, Portoscuso, Sassari e Venezia scrivono a Meloni per chiedere “compensazioni” e “misure di ristorno”

Gli abitanti dei Comuni con centrali a carbone stanno pagando sulla propria pelle due volte l’attuale crisi energetica: non solo con bollette sempre più alte ma anche vedendosi posticipare progressivamente il giorno in cui potranno respirare un’aria meno inquinata e più salubre, visto che l’addio al carbone si è fatto più lontano dopo la guerra in Ucraina e la conseguente carenza degli approvvigionamenti energetici. Da questo ragionamento parte la richiesta al governo di sette Comuni con centrali a carbone di avere “compensazioni” e “misure di ristorno” per ridurre le bollette a carico dei residenti. Il tutto, sulla scia di quello che già stanno facendo o si apprestano a fare alcune Regioni, con non pochi problemi, per la presenza di attività estrattive e infrastrutture energetiche, come gasdotti o rigassificatori. E intanto Civitavecchia ha presentato il piano per la transizione ecologica 2022-2026 che prevede la chiusura della centrale a carbone entro il 2026, piano per il quale tuttavia, per stessa ammissione del sindaco Ernesto Tedesco contattato da Ilfattoquotidiano.it, “c’è molto scetticismo” per la sua reale attuazione “in tempi tanto stretti”.

La lettera dei sindaci: amarezza ed esasperazione dei residenti – “Sono ben noti i disagi e le ripercussioni che questi impianti (a carbone, ndr) determinano per la popolazione e i territori interessati. Anche l’applicazione delle più aggiornate misure tecnologiche di mitigazione riducono solo in parte le conseguenze dovute alla manipolazione, allo stoccaggio e all’impiego del carbone di ordine ambientale, sanitario, urbanistico e sociale”, si legge in una lettera che i sindaci di Brindisi, Civitavecchia, La Spezia, Monfalcone, Portoscuso, Sassari e Venezia hanno inviato alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin.

Gli obiettivi europei e il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima prevedevano l’abbandono del carbone da parte dell’Italia entro il 2025, stabilendo incentivazioni per il risanamento dei siti e i possibili investimenti alternativi. Con la guerra in Ucraina e la conseguente crisi energetica che ne è scaturita le prospettive tuttavia sono totalmente cambiate. Vari paesi Ue hanno così deciso di riaprire delle centrali a carbone e i sindaci delle città coinvolte che avevano già impostato una graduale uscita o un ridimensionamento dalle centrali devono rivedere le piani. Tutto questo, dicono i sindaci, gestendo “l’amarezza e l’esasperazione” dei propri abitanti costretti a continuare a sopportare “gli effetti dannosi che accompagnano, più di ogni altra, questa tipologia di combustibile fossile”. Senza contare le conseguenze negative in termini di “credibilità della popolazione verso i sindaci” e di “fiducia dei cittadini verso lo Stato”.

Di qui dunque la richiesta di alleviare almeno il peso del caro bollette per chi abita vicino a una centrale a carbone. “Diventa impegno comune quello di affrontare la questione delle azioni di ristorno e compensazione che possano riguardare in particolare la riduzione delle bollette energetiche per i residenti nella giusta considerazione che la maggior produzione delle centrali a carbone è legata a un interesse di carattere nazionale e generale che non può diventare un fattore di maggiore penalizzazione per alcuni territori”, si legge nella lettera.

Il caso di Civitavecchia – Esemplificativo è il caso di Civitavecchia, che proprio in questi giorni ha presentato il piano per la transizione ecologica 2022-2026, un progetto che prevede la chiusura della centrale a carbone per fare spazio al primo distretto di energie rinnovabili del Lazio. Tra le altre cose, il piano prevede la realizzazione di un parco eolico offshore di 270 MW, il primo d’Italia e del Mediterraneo, batterie per 36 GWh, impianti a idrogeno H2 di 113 MW e impianti fotovoltaici di 655 MW complessivi. Un intervento che creerà oltre 3mila nuovi posti di lavoro. Tuttavia, non manca affatto lo scetticismo sulla reale fattibilità del piano, soprattutto visti i tempi. “Abbiamo la speranza di veder attuato il piano e dismettere la centrale a carbone entro il 2026. Tuttavia, i tempi sono talmente stretti che in città c’è molto scetticismo”, ha commentato il sindaco di Civitavecchia, Ernesto Tedesco, contattato da Ilfattoquotidiano.it. “Il phase out delle centrali a carbone – continua Tedesco – è rallentato notevolmente e in questa situazione non è facile pensare di programmare investimenti tanto alti in soli tre anni per riconvertire la centrale in un vero e proprio distretto di energie rinnovabili del Lazio”. I dati del resto parlano chiaro: “A marzo 2022 a Civitavecchia avevamo già bruciato tutto il carbone che si prevedeva di consumare il tutto il 2022. Tutte le centrali a carbone che sono in Italia stanno spingendo al massimo delle proprie capacità”, dice il sindaco.

Il rischio di aumentare la frammentazione – In realtà, l’idea dei sindaci è quella di seguire la stessa che si sta percorrendo già a livello regionale, per “compensare” i cittadini per la presenza di attività estrattive e infrastrutture energetiche sul territorio come rigassificatori o gasdotti. Tuttavia, già qui stanno emergendo varie problematiche. In Puglia, dove si punta ad utilizzare le compensazioni del gasdotto Tap, Confindustria parla di “incostituzionalità” e di una legge “non coerente con il quadro normativo nazionale”. In Basilicata, dove è stata approvata la norma che darà la componente gas gratis in bolletta ai residenti utilizzando i proventi delle royalty derivanti dalle attività upstream, gli operatori sottolineano che la misura presenta “complessità attuative onerose e difficilmente compatibili con una rapida attuazione”. Anche Toscana ed Emilia Romagna guardano agli sconti in bolletta attraverso le compensazioni per i futuri rigassificatori di Piombino e di Ravenna, cosa che, secondo le società, renderebbero ancora più “complessa, onerosa e frammentata la gestione dell’intera clientela delle società di vendita di livello nazionale”. Frammentazione che, va da sé, sarebbe ancora più intensa se anche i comuni perseguissero la stessa strada.