Nel giorno della scomparsa di Vladimir Makei, un centro studi americano pubblica un dossier secondo cui Putin vorrebbe spingere Minsk a intervenire direttamente con le sue truppe al fianco di Mosca in Ucraina. Ipotesi alla quale il ministro bielorusso si opponeva. E a Kiev non escludono che sia stato avvelenato
Il ministro degli Esteri bielorusso morto improvvisamente a poche ora dall’incontro col suo omologo di Mosca, Lavrov. Il governo che non fornisce nessun dettaglio sulla sua scomparsa, mentre circolano voci su un suo possibile avvelenamento come “avvertimento” di Putin per convincere Lukashenko a combattere a fianco dei russi, in Ucraina. La morte di Vladimir Makei – scomparso a Erevan, in Armenia, mentre si svolgeva la conferenza dell’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva (nella foto insieme a Lukashenko) – apre il campo a varie suggestioni e ipotesi. Inclusa quella di cambio politico a Minsk sul quale il Cremlino starebbe facendo pressione per convincere la Bielorussia a sfondare in Ucraina. Mosca si è detta “scioccata” dalla morte di Makei e Lavrov ha annullato la sua visita a Minsk, prevista per domani. Avrebbe infatti dovuto incontrare proprio lui, e al centro dei colloqui sarebbe entrato anche il conflitto ucraino.
“Vladimir Vladimirovich Makei era un vero amico della Russia”, ha dichiarato il ministero degli Esteri russo. “Ha dato un contributo unico allo sviluppo della cooperazione bilaterale, alla costruzione dello Stato dell’Unione, al rafforzamento dei legami tra i popoli fraterni della Russia e della Bielorussia“. La nota del Cremlino definisce il politico “un diplomatico e uno statista eccezionale, un vero patriota che ha dedicato la sua vita a servire la sua patria e a proteggere i suoi interessi nell’arena internazionale”. “Vladimir Vladimirovich Makei rimarrà per sempre nei nostri cuori come un uomo dall’animo ampio e dalla profonda saggezza, un brillante professionista, un compagno di squadra e un amico leale, che si è guadagnato l’amore e il rispetto non solo dei cittadini del suo Paese, ma anche ben oltre la Bielorussia“, conclude il messaggio.
Ma chi era Makei e qual era il suo rapporto con la Russia? Per l’opposizione interna, rappresentata dalla leader in esilio Sviatlana Tsikhanouskaya, è stato “un traditore”, perché nel 2020, quando venne rieletto Lukashenko, sostenne la repressione dei manifestanti, e ritenne l’Occidente responsabile delle proteste. Dal punto di vista politico, però, da Anton Gerashchenko, consigliere del ministero dell’Interno di Kiev (attaccato in passato da giornalisti e attivisti per i diritti umani ucraini per il suo sostegno a Myrotvorets, un database anonimo che ha stilato liste di proscrizione di oltre 4.000 reporter ucraini e stranieri non graditi), arriva un’altra lettura. Makei, ha scritto su Twitter, “è stato nominato come possibile successore di Lukashenko. Era uno dei pochi non sotto l’influenza russa. Le voci dicono che questo potrebbe essere un segnale per Lukashenko“. E parla di un’ipotesi che sta circolando, senza specificarne la provenienza. E cioè che Makei potrebbe essere stato avvelenato. Vicinissimo al dittatore bielorusso, il ministro aveva chiesto sostegno alla Russia per reprimere le proteste due anni fa e alla richiesta del Cremlino di supportarlo nel conflitto ucraino aveva dato l’assenso a dispiegare truppe al confine, ma restando in territorio bielorusso. E chiarendo che Minsk non sarebbe stata a disposizione per un intervento diretto in Ucraina. Un punto sul quale Putin, secondo quanto emerge da uno studio del Robert Lansing Institute, starebbe facendo pressione. L’annuncio della scomparsa di Makei è caduto infatti nello stesso giorno in cui i media ucraini hanno pubblicato le affermazioni del centro studi americano secondo il quale Putin avrebbe un piano per eseguire un attentato, o un falso attentato, a Lukashenko per intimidirlo e così spingerlo a intervenire direttamente con le sue truppe al fianco di Mosca in Ucraina. Un piano che potrebbe essere messo in pratica già nei prossimi giorni, afferma il Robert Lobert Lansing Institute, che si presenta come un’organizzazione impegnata nella ricerca volta a “migliorare la capacità euro-atlantica di contrastare le operazioni ibride e rispondere alle minacce emergenti per raggiungere obiettivi strategici”. Per questo nel suo post su Twitter Gerashchenko ha parlato di un possibile “avvertimento” diretto proprio a Lukashenko.
Pur legata a Mosca da stretti accordi politici, economici e militari, Minsk si è astenuta finora dal prendere parte direttamente al conflitto ucraino. Dalla fine di ottobre, tuttavia, le truppe dei due Paesi hanno avviato uno schieramento congiunto sul territorio bielorusso che prevede l’invio di circa 9.000 soldati russi, armamenti e jet Mig-31 per costituire il primo nucleo di una forza integrata prevista dagli accordi bilaterali sullo Stato dello Unione. La Bielorussia dunque cerca di mantenere un difficile equilibrio per salvaguardare anche i suoi interessi nazionali. E lo testimoniano le apparizioni del suo ministro degli Esteri sulla scena internazionale.
Stretto collaboratore di Lukashenko fin dal 2000, poi suo capo di gabinetto e infine capo della diplomazia dal 2012, Makei ha difeso con convinzione le motivazioni della Russia per giustificare la sua operazione militare in Ucraina. Ma nel settembre scorso, quando si trovava a New York per l’Assemblea generale dell’Onu, ha affermato in un’intervista a France 24 che Minsk era interessata a tenere anche “aperti i canali di comunicazione” con l’Europa, definendo l’Ue “un buon partner commerciale ed economico”. Quanto all’Ucraina, affermava l’esigenza di “mettere fine al conflitto il prima possibile” attraverso le vie diplomatiche. Ma con la sua morte prendono forma anche altre ipotesi.