Ai Mondiali di Qatar 2022 ilfattoquotidiano.it tifa Marocco: le ragioni della nostra iniziativa (leggi)

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La storia è singolare ma non inedita. Perché in un afoso pomeriggio di agosto il Marocco decide di mettere un punto alla situazione. Federazione e commissario tecnico hanno una visione inconciliabile del futuro prossimo. O almeno così c’è scritto sul comunicato ufficiale che viene spedito ai giornalisti. La verità è leggermente più complessa. Lo spogliatoio della Nazionale è spaccato. I giocatori più rappresentativi sono sul piede di guerra. La delusione per l’eliminazione ai quarti di finale nell’ultima Coppa d’Africa non è mai evaporata del tutto. La Federazione parla a lungo con il ct e poi prende la sua decisione: Vahid Halilhodzic deve essere allontanato.

Non è una sorpresa per nessuno. Neanche per il tecnico bosniaco. Anzi, per lui è qualcosa di molto vicino a una consuetudine. Perché è la terza volta che Halilhodzic porta una squadra alla Coppa del Mondo. Ed è la terza volta che viene esonerato a poche settimane dall’inizio della competizione. Un destino perverso che gli era già toccato con la Costa d’Avorio nel 2010 e con il Giappone nel 2018 e che ora appare quasi ineluttabile. Il tecnico ringrazia, incassa la buonuscita, torna in Bosnia. “Se sono vittima di una maledizione?”, dice a un quotidiano locale, “diciamo che secondo le statistiche sono l’allenatore più vincente della storia, ma a nessuno sembra importare”.

La guerra di successione alla panchina non è poi molto cruenta. Sette giorni dopo l’esonero di Halilhodzic la Federcalcio organizza un incontro con l’ex difensore della Nazionale Walid Regragui. Si parla di giocatori, si parla di futuro, si parla di obiettivi. Ma soprattutto di successi. Sembra un colloquio di lavoro, ma in realtà non viene pronunciato nessun “le faremo sapere”. Perché la Federazione ha iniziato a trattare fitto con Walter Mazzarri. Il tecnico di San Vincenzo è in cerca di una rivincita e ha il curriculum perfetto per ricoprire l’incarico. La contrattazione viaggia talmente spedita che i media italiani battono la notizia. Con l’indicativo presente che sovrascrive ogni condizionale. Ma in una storia che già si era trasformata in telenovela non poteva mancare il plot twist, il colpo a effetto che lascia tutti a bocca aperta. Il Marocco e Mazzarri interrompono le trattative. Le clausole che la Federcalcio vuole inserire nel contratto sono così tante che l’allenatore non si sente poi così apprezzato. Meglio passare oltre.

Così la Federazione alza il telefono e richiama Walid Regragui. Gli dicono che hanno bisogno di vederlo nuovamente. E anche il prima possibile. Perché sarà lui a dover guidare la Nazionale ai Mondiali. È una situazione che sembra richiamare quella massima di Napoleone secondo cui era meglio avere generali fortunati che capaci. Ma con una differenza non da poco: Walid Regragui non è solo fortunato. È anche molto capace. La sua carriera da calciatore è stata modesta, è scivolata via tutta alla periferia del calcio mondiale. È nato in Francia da genitori marocchini, ma ha conservato un cordone ombelicale particolare con la loro patria. Comincia a giocare come laterale destro nelle giovanili del Corbeil-Essonnes, il club della sua città, un agglomerato da cinquantamila abitanti nei pressi di Parigi.

Non è molto, ma è comunque tantissimo. Perché lì incontra l’uomo che cambierà la sua vita. Si chiama Rudi Garcia. E allena la prima squadra. Il primo incontro fra i due è dura giusto pochi secondi, ma crea un legame. “Un giorno, per caso, sono andato a vedere le giovanili – ha raccontato tempo dopo Garcia – e ho visto un giocatore longilineo, rapido, abile, dotato di tempismo. E mi sono chiesto: ma cosa ci fa in quella squadra? Così l’ho fatto salire in prima squadra. E non è più uscito”. La carriera del calciatore non rispetta le aspettative. Galleggia fra Ligue 2 e Ligue 1. Prima al Toulouse, poi all’Ajaccio. La Spagna assomiglia a un miraggio. Gioca due stagioni con il Racing Santander, poi torna a casa. Di nuovo in seconda divisione. Prima con il Dijon, dove ritrova Rudi, poi con il Grenoble Foot. Fino a quando non dice basta.

Il problema è che per lui il calcio non è passione, ma destino. Così si mette a studiare. Nel 2012 chiama il suo vecchio mentore e gli fa una proposta particolare. Vuole assistere ai suoi allenamenti. “In questo mestiere non si inventa nulla – dirà Regragui – si riproduce quello che fanno gli altri cercando di portare il proprio tocco personale. Sono andato a trovare Rudi Garcia quando era alla Roma, per osservare come lavora”. Walid osserva e prende appunti. Poi mescola le idee di Rudi con le sue. Ne esce fuori un calcio votato al possesso palla, agli scambi nello stretto, al dominio del gioco. E la cosa sembra anche funzionare. Nel 2014 viene nominato allenatore del FUS Rabat, che porta alla vittoria di un titolo marocchino e di una Coppa Nazionale. Poi passa all’Al-Duhail, che porta alla vittoria di un campionato del Qatar. Poi torna in patria, al Wydad Casablanca. E qui arriva il trionfo. Vince un altro scudetto marocchino, ma soprattutto una Coppa dei Campioni africana.

È un successo che gli vale l’eterna riconoscenza dei suoi giocatori e dei suoi tifosi. Il suo nome comincia a saltare di bocca in bocca. Fino a quando non viene pronunciato dai vertici della Federazione, fino a quando la trattativa con Mazzarri non naufraga definitivamente. Regragui diventa il nuovo commissario tecnico del Marocco. Per alcuni è un miracolato, per altri è semplicemente l’uomo giusto al momento giusto, per molti è il miglior tecnico possibile per la Nazionale. La sua nomina mette pace nello spogliatoio. Hakim Ziyech, forse l’elemento di maggior talento del Marocco che a 28 anni aveva detto addio alla Nazionale per i problemi con Halilhodzic, viene reintegrato. È una notizia che cambia le ambizioni della squadra per la Coppa del Mondo. Ed è merito di un tecnico che per il grande pubblico resta un carneade.

Qualcuno chiama Regragui il Guardiola marocchino, per via del suo calcio offensivo e corale. Altri lo definiscono il Mourinho locale, per via delle sue conferenze stampa aggressive e la sua capacità di tenere la squadra al riparo dalle polemiche. È una contraddizione che diventa presto insopportabile. Come se per affermare se stessi fosse sempre necessario specchiarsi in qualcun altro. E Walid ha smesso da un pezzo di guardare gli altri. “Con il tempo sono migliorato in termini di strategia di gioco – ha detto alla Fifa – prima davo molta importanza al possesso e al mantenimento di un pressing ad alta intensità, ma nel corso degli anni sono diventato più pragmatico. Quando lavori con squadre come il Wydad, dove vincere è fondamentale, impari ad adattarti per ottenere la vittoria. Così io mi adatto a seconda del potenziale della squadra. Posso impostare la squadra in una miriade di modi. Ammiro Guardiola, Simeone e Ancelotti, ma ho il mio stile personale per adattare la squadra in base alle capacità dei giocatori a disposizione”. E ora quell’allenatore cresciuto con il mito di Rudi Garcia può pronunciare la sua dichiarazione di indipendenza.

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