Quando un libro ti spiazza o lo ami, perché ti lasci prendere per mano, oppure lo rifiuti, perché non è nelle tue corde. Succede per tanti libri, succede per l’ultimo lavoro di Giorgia Tribuiani, Padri, edito da Fazi.
Padri ti spiazza dopo poche pagine, perché la trama esce dai binari del razionale e non sai dove andrà a parare. Succede questo: alla porta di una famiglia si presenta un uomo ancora giovane, si chiama Diego Valli. Ecco l’irrazionale: è morto quarant’anni fa ed è com’era quarant’anni fa. Lo accoglie il figlio Oscar, che è quindi più giovane del padre. Accanto al figlio altri due personaggi: sua moglie e sua figlia Gaia. La moglie non accetta l’irrazionale, la figlia sì.
Il nuovo venuto, il resuscitato, trova un mondo che non è più il suo. E intanto gli equilibri della famiglia saltano.
È un romanzo di solitudini, Padri. Di blocchi relazionali. Si salva solo Gaia: accetta il nonno resuscitato perché non è accettata dal padre, che la vuole perfettina in tutto e per tutto.
E poi c’è il tempo. Un tempo senza logica, non si resuscita, si sa. La Tribuiani ci gioca perché è il tempo a prendersi gioco di tutto e tutti. Oddio, ci si può consolare coi ricordi, perché i ricordi – come succede nel finale – fanno riemergere frammenti di felicità.
Ma Padri ti spiazza soprattutto nello stile, tanto anarchico quanto ben curato dall’autrice (che vive di scrittura e la insegna): flussi di coscienza, discorso diretto alla Saramago (o meglio: alla Tribuiani, che ben conosce altri scardinatori del linguaggio corrente: da Celine, a Bernhard) con una punteggiatura che, come delle percussioni musicali, detta i ritmi dell’azione e dello stato d’animo dei personaggi.
Ecco un passo del libro. Si sta ballando…
Diego Valli, tra quelli che forse erano stati compagni di scuola e che adesso non riconosceva, tre passi a destra e tre passi a sinistra, passi indietro, ginocchio su, ginocchio su; si vide in mezzo a loro e doveva vomitare e registrò appena il brusio della voce di Oscar, poi quella di Gaia che di nuovo lo zittiva, Gaia che frantumava cubetti di ghiaccio, Gaia gomiti sul tavolo a cercare il suo sguardo. Se vuoi andiamo, disse la sua voce lontanissima, e lui si forzò a staccare gli occhi da quel sé invecchiato che ballava insieme agli altri: strappò lo sguardo dal centro della rotonda per aggrapparlo alla nipote, alle sue labbra, doveva vomitare oppure bere, bere solo un bicchierino, un sorso solo, alleggerire questa te- sta, ma lungo il tragitto, nello spazio tra i mocassini spazzolati e le labbra di Gaia, si soffermò un momento di troppo sulla porta a vetri, e sulla porta a vetri li vide.
Insomma: un romanzo coraggioso, diverso, spiazzante.
Notizia degli ultimi giorni: Padri ha ottenuto un importante riconoscimento: grazie alla traduzione dei primi capitoli di Isabella Corletto, ha vinto il “PEN Grant for the Translation of Italian Literature” del Pen America, che prevede la traduzione di un testo italiano in inglese per promuovere la pubblicazione della letteratura italiana negli Stati Uniti.
Perché è un romanzo, si legge nella motivazione, che “ribalta temi e idee tradizionali”.
Infatti.
Giorgia Tribuiani è nata nel 1985 ad Alba Adriatica e vive a Pescara.
Dopo la laurea in Editoria e giornalismo e il master in Marketing e comunicazione, ha collaborato con testate giornalistiche e agenzie di stampa locali e nazionali.
Attualmente lavora al fianco di Giulio Mozzi (un punto di riferimento per la scrittrice) come docente di scrittura creativa presso la Bottega di Narrazione. Ha pubblicato “Guasti”, edito da Voland, Blu” e “Padri“ per Fazi.