Colpo di scena nello scandalo mediatico-politico che sta scuotendo il mondo dell’informazione in Veneto. Il Tribunale del Riesame di Venezia ha revocato, dopo un mese e mezzo, la misura interdittiva del divieto di esercitare “l’attività di impresa di editoria attraverso le emittenti Rete Veneta e Antenna Tre” che era stata disposta, per la durata di un anno, all’imprenditore Giovanni Jannacopulos, 82 anni, indagato per minacce aggravate a pubblico ufficiale. Il provvedimento era stato chiesto dal pm Serena Chimichi e concesso dal gip Matteo Mantovani del Tribunale di Vicenza, dopo le denunce di Carlo Bramezza, direttore generale dell’Ulss 7 Pedemontana con sede a Bassano del Grappa. Il manager pubblico lamentava una campagna orchestrata con “servizi denigratori” da Jannacopulos contro di lui, per costringerlo “a compiere atti contrari ai propri doveri d’ufficio in base alle sue perentorie richieste (relative a spostamenti di personale medico e alla concessione di aspettative per suoi conoscenti)”. Un’insistenza che, a suo dire, avrebbe puntato a fargli abbandonare l’incarico, assegnatogli dal governatore Luca Zaia nel marzo 2021.
Il dispositivo dei giudici si limita a una concisa dichiarazione di “revoca della misura interdittiva”. Solo le motivazioni spiegheranno le ragioni del provvedimento. In aula non era presente il pubblico ministero titolare del fascicolo, mentre ha parlato per un’ora l’avvocato Maurizio Paniz, difensore di Jannacopulos, che a corredo del ricorso ha allegato alcune centinaia di pagine di documenti. Sono atti che raccontano un’altra storia rispetto a quella messa a verbale da Bramezza. Secondo quest’ultimo le insistenze dell’imprenditore, titolare dell’associazione “Elios Onlus”, che aveva fatto donazioni all’Ospedale di Bassano, erano state pressanti, seguite poi da una pesante campagna mediatica. Di qui la contestazione di minacce. Ma è andata proprio così? L’articolata difesa dell’avvocato Paniz punta in quattro direzioni. La prima riguarda la confutazione dei presunti interventi a favore di amici medici da parte di Jannacopulos. In un caso è stato dimostrato che quando egli perorava la richiesta di aspettativa non retribuita per un medico, questa si riferiva alla possibilità di frequentare uno stage di specializzazione di sei mesi alla Sorbona, con potenziale arricchimento professionale per lo stesso ospedale.
Una seconda argomentazione mette sotto tiro la figura di Bramezza, in quanto protagonista di un dissesto finanziario e patrimoniale rilevante. Nel gennaio 2022 il Tribunale di Treviso ha dichiarato aperta una procedura di liquidazione del patrimonio personale del manager per 10 milioni 969 mila euro, a causa di debiti verso banche. Si trattava di garanzie prestate su operazioni immobiliari fallimentari. Bramezza ha dovuto vendere tutti i suoi beni, nonché una casa, e ha subito il pignoramento di un quinto dello stipendio. Allora era cominciata un’arrembante richiesta di chiarimenti da parte di “Rete Veneta”, che reiterava a Bramezza una serie di domande sull’opportunità che un manager pubblico, con un tale dissesto alle spalle, continuasse a ricoprire l’incarico. Jannacopulos ne aveva anche parlato con il presidente del Veneto, Luca Zaia, ottenendo però un rifiuto ad intervenire. La terza linea di difesa si riferisce al fatto che Giovanni Jannacopulos non è l’editore del gruppo televisivo privato, ma il socio di maggioranza, mentre la titolarità è del figlio Filippo. È probabile che in particolare questa argomentazione abbia fatto breccia, visto che l’indagato non esercita “l’attività di impresa di editoria” e che il direttore delle testate giornalistiche del gruppo, Luigi Bacialli risponde a Filippo Jannacopulos, non al padre.
Il quarto argomento riguarda la legittimità del diritto di critica giornalistica, che sarebbe stato esercitato attraverso i servizi di Rete Veneta e Antenna Tre. “Denigratori”, come è scritto nel capo d’accusa, o soltanto approfondimenti critici nei confronti della gestione dell’Ulss 7 Pedemontana? Molti documenti suffragano questa seconda tesi, con riferimento ai servizi di automediche condotte da personale infermieristico o ai tempi di attesa necessari per accedere al punto tamponi dell’ospedale. In un video-editoriale, il direttore Baccialli ha attaccato: “Le accuse infamanti si sono sciolte come neve al sole. Abbiamo assistito a un mese di fango, di accuse gravissime, come quella di minacce mai fatte e mai dimostrate, a carico di un uomo che ha condotto battaglie per migliorare la sanità, per aiutare le persone bisognose e i bambini malati”. Bacialli ha difeso la qualità dei servizi giornalistici e la libertà di stampa. “Abbiamo dato voce ai pazienti e ai cittadini, scavando e denunciando ciò che non funzionava nella sanità bassanese”.