Sei ai domiciliari e due sospesi dal lavoro. Altri quattro indagati così come pure il medico della struttura. Non siamo ai livelli di Santa Maria Capua Vetere, ma l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip su richiesta della Procura di Reggio Calabria sta provocando un terremoto giudiziario all’interno del carcere Panzera dove gli agenti della polizia penitenziaria hanno pestato un detenuto campano, ritenuto esponente di spicco della Camorra. Tortura e lesioni personali aggravate: sono queste le accuse principali mosse ai sei agenti della finiti ai domiciliari su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e del pm Sara Perazzan.

I fatti si sono verificati il 22 gennaio scorso, lo stesso giorno della visita a Reggio Calabria dell’ex ministra della Giustizia Marta Cartabia. Mentre la guardasigilli inaugurava l’anno giudiziario, nel carcere il detenuto Alessio Peluso aveva messo in atto una protesta, rifiutandosi di far rientro nella cella dopo aver usufruito del previsto passeggio esterno. La reazione, stando alle indagini della Squadra mobile, è stata brutale. Il giovane detenuto, infatti, è stato colpito ripetutamente con i manganelli in dotazione di reparto, ma anche con dei pugni. Gli agenti coinvolti, inoltre, lo hanno fatto spogliare lasciandolo semi nudo, in pieno inverno, per oltre due ore nella cella dove era stato condotto.

I pm non hanno dubbi nel descrivere i comportamenti deli agenti della penitenziaria: “Conducevano illegittimamente – si legge nell’ordinanza – il detenuto in una cella di isolamento, senza alcuna preventiva decisione del Consiglio di disciplina ovvero senza alcuna previa decisione adottata in via cautelare dal direttore, serbando gratuite condotte di violenza e di sopraffazione fisica che cagionavano al detenuto acute sofferenze fisiche mediante più condotte e sottoponendolo ad un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”. Tra i soggetti finiti agli arresti domiciliari c’è pure il comandante del corpo Stefano La Cava al quale, oltre alle accuse di tortura e lesioni personali aggravate, vengono contestati i reati di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico, di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico per induzione, di omissione d’atti d’ufficio, di calunnia e tentata concussione.

Quest’ultima accusa è scattata perché il comandante La Cava avrebbe tentato di costringere, illegittimamente, un suo sottoposto a mostrargli delle relazioni di servizio relative alla sorveglianza dello stesso detenuto. Oltre agli agenti ai domiciliari e ai due poliziotti sospesi, nell’inchiesta sono indagati altri 4 colleghi per i quali il giudice per le indagini preliminari ha disposto l’interrogatorio. Solo dopo deciderà sulla richiesta di applicazione della misura cautelare interdittiva formulata dalla Procura. Stessa cosa avverrà per il medico del carcere che è indagato con l’accusa di depistaggio. Stando all’inchiesta della Squadra mobile, infatti, il dottore avrebbe reso false dichiarazioni al pubblico ministero durante la fase delle indagini.

Dopo la notizia del pestaggio, i familiari di altri detenuti campani hanno denunciato altre violenze. Nel corso di colloqui telefonici con i propri parenti, infatti, i detenuti avevano riferito di essere stati malmenati all’interno dello stesso carcere dove è stato pestato Alessio Peluso. Le indagini, anche attraverso l’ascolto dei reclusi da parte del pubblico ministero, però, hanno permesso agli investigatori già di circoscrivere al solo Peluso le condotte violente da parte della polizia penitenziaria. Violenze che sono state confermate, tra l’altro, dai filmati delle telecamere interne dell’istituto di pena.

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