Mazzette per assicurarsi i servizi funebri e per far vedere ai parenti le salme dei pazienti risultati positivi al Covid, violando così le norme anti-contagio. E poi falsi certificati di malattia per medici e pazienti e furti di materiale di pulizia e sanitario che poi veniva rivenduto. Per questo sono scattati 3 arresti, uno dei quali in carcere, e altre 7 misure cautelari per come funzionavano le cose, ad avviso dei carabinieri, all’interno dell’ospedale di Saronno, in provincia di Varese. Le ipotesi di reato, a vario titolo, sono corruzione, peculato, furto, truffa e falsità ideologica.
A far partire le inchiesta, coordinata dalla Procura di Busto Arsizio, è stata la segnalazione alla direzione sanitaria da parte di un dipendente, nel 2020, su una somma di denaro che sarebbe stata elargita a Giovanni Di Paola, addetto all’obitorio oggi in carcere, da parte di un impresario di onoranze funebri del luogo. Da quel momento sono scattate le intercettazioni telefoniche e video e la raccolta di testimonianze fra i dipendenti dell’ospedale.
Adesso le accuse riguardano quattro i titolari di pompe funebri che davano denaro agli addetti dell’obitorio perché spingessero i parenti dei defunti alla scelta dell’impresa e anche per mostrare ai familiari i morti risultati positivi al Covid. Nell’ordinanza gli inquirenti hanno spiegato che Di Paola ha mostrato “piena indifferenza” e “sfregio ai doveri correlati alla qualifica pubblica ricoperta” e incapacità nel “cogliere il disvalore e l’estrema gravità delle proprie azioni”.
A spartirsi i compensi, secondo le indagini, era anche Sabrina De Carlo, ai domiciliari, mentre altre due dipendenti ora con divieto di esercitare la professione per sei mesi, hanno poi collaborato alle indagini. Durante l’inchiesta i carabinieri hanno poi aperto altri filoni. Il primo riguarda due medici di Ats accusati di fornire falsi certificati di malattia, l’uno a beneficio dell’altro (perché potesse aiutarlo nel suo studio) e, su richiesta, ai pazienti. Per loro è scattata l’interdizione all’esercizio della professione per un anno. Il secondo riguarda altri due dipendenti della struttura scoperti a rubare materiale sanitario di proprietà dell’ospedale, per poi rivenderlo.