Il primo pensiero va alle vittime. Due volte vittime, a cominciare dall’abusivismo edilizio.
Il secondo pensiero va a Villa Piromallo, luogo storico della mia infanzia. Era la casa di nonna Manina. Rosso pompeiano, adagiata ai piedi del monte Epomeo, un gioiellino settecentesco, fra bouquet di bouganville e filari di vigne che danno un vino rosso profumato, scuro come inchiostro, per me come le petites madeleines di Proust. Basta un sorso per la mia recherche du temps perdu. L’alluvione, per grazia ricevuta, ha scansato Villa Piromallo. Subito uno scambio di messaggi con i cugini che abitano lì: il primo è rassicurante, piccole cose.
Adesso due riflessioni: mio padre costruttore (scomparso 32 anni fa) aveva costruito graziose villette a Pansa d’Ischia su terreni di famiglia, su progetto dell’architetto Alfonso Gambardella, poi professore alla Federico II di Storia dell’Architettura. Se avesse seguito la logica dello scempio urbano di quegli anni, dove si impastava sabbia (tanta) con cemento (poco) armato, e anziché 8 villette avesse costruito condomini ad alveari, noi oggi saremmo milionari. Invece in quella Ischia, imbastardita dalla mentalità del profitto ad ogni costo, non ha più messo mattoncini.
Villa Piromallo Capece Piscicelli di Montebello (questo il nome per intero) è rimasta in piedi, solida sulle sue fondamenta. Anche alluvioni e terremoti del passato non troppo remoto non l’hanno scalfita. Grazie al cielo, non è l’unica. Possibile che tre secoli fa si costruisse con più criterio di oggi? E quelle casette che invece regalavano a tanti un sogno di villeggiatura siano state spazzate via come birilli da “colpi” maldestri e scriteriati?
Adesso, pietà, la tragedia di Ischia non chiamatela fatalità. Era già tristemente annunciata.