Dopo aver riammesso Donald Trump a furor di popolo, il nuovo padrone di Twitter, Elon Musk, annuncia trionfalmente che tutti gli account in precedenza sospesi dalla sua piattaforma saranno ripristinati. Lo ha deciso un “referendum” avviato sul suo profilo, a condizione però che “non abbiano infranto la legge o siano coinvolti in uno spam eclatante”. Ma chi deciderà chi ha violato la legge? Probabilmente il popolo. “Vox Populi, Vox Dei” dichiara del resto il padrone Musk.

Tutto bene quel che finisce bene e viva la democrazia elettronica? Magari. In realtà, dittatura digitale era prima e dittatura resta oggi. Non si può più, infatti, non rendersi conto che i social network, come Twitter, sono veri e propri esempi di dittatura, che nulla hanno a che vedere con i nostri modelli di democrazia occidentale. Proviamo a ragionare su questi importanti concetti partendo da un film di un bel po’ di anni fa.

Vi ricordate “The Truman Show”? Il bel film di Peter Weir nel 1998 ha anticipato un futuro che ormai riguarda tutti noi. Truman Burbank, brillantemente impersonato da Jim Carrey, scopre che i primi trent’anni della sua vita sono stati uno show televisivo e, quindi, che ogni dettaglio della sua esistenza è stato costantemente svelato al mondo intero da minuziose telecamere. Dal 1998 a oggi quella vita – resa trasparente come un meraviglioso spettacolo ad insaputa di Truman, e che allora ci appariva un’esagerazione visionaria nata dalla fervida immaginazione del regista Peter Weir – è diventata un’abitudine (più o meno inconsapevole) per tutti noi. E così, anni dopo, sono arrivati i pruriginosi reality show come il Grande Fratello, i quali hanno poi aperto la strada alle nostre vite scandagliate in modo pervasivo nell’era dei social network.

Oggi, miliardi di esistenze sono sottoposte con spensieratezza a profilazioni e manipolazioni costanti. Condizioni generali per accedere a servizi “gratuiti” hanno reso possibile ciò che nessun regista aveva osato immaginare come effetto naturale di un processo così semplice da ottenere: l’intera popolazione mondiale disponibile a cedere allegramente identità, foto, gusti, scelte, interessi (politici, religiosi, sessuali), in cambio della disponibilità pelosa e “gratuita” di servizi resi sempre più universali e insopprimibili. Non ci sono più occhi indiscreti oggi, perché la cessione parcellizzata della nostra esistenza è diventata un’abitudine. Chi non si svela è ormai un essere strano. E pur se non lo sa o non vorrebbe, a quel mondo appartiene lo stesso.

È una meravigliosa prigione dorata orchestrata alle nostre spalle da player che hanno assunto le fattezze di sovra-nazioni dove miliardi di vite (digitali), con le loro identità, diritti e doveri sono sottoposte a ordinamenti contrattuali dettati dal sovrano di turno, che sia Mark Zuckerberg, Jeff Bezos o oggi Musk (o altri ancora) non fa alcuna differenza. Qui o lì – che ci si trovi nello spettacolare Metaverso o ci si muova in un enorme marketplace dove effettuare meravigliosi acquisti o ci si avventuri in uno spazio dove urlare le proprie convinzioni a colpi di tweet o di brevi video – si è vivi o morti per ordine del sovrano di turno.

Quando tempo fa ripetevo che la democrazia sui social era messa a dura prova, in caso di eliminazioni scomode come quelle di Trump o Casapound o Byoblu o meno scomode come le Sardine, molti storcevano il naso. Schizzinosamente mi si ricordava che c’erano “regole di accesso” (misteriosissime e cangianti a uso e consumo del padrone di turno) da rispettare da parte del popolo bue. Sta di fatto che, oggi, i grandi social player – come ripeto da diversi anni (e seguendo gli insegnamenti di maestri come il compianto Giovanni Buttarelli, ex Garante europeo per la protezione dei dati personali, prematuramente scomparso nel 2019) – godono di un potere non solo economico, ma anche politico-culturale immenso. Sono in grado di manipolare esistenze, decretando vita e morte (digitale) di cittadini-sudditi, in ecosistemi che, in un comodo far web di cui hanno approfittato per accumulare potere, veicolano a piacimento servizi ormai essenziali per la nostra sopravvivenza on line.

Per fortuna l’Ue, accorgendosi finalmente della situazione attuale alimentata dall’inerzia politica, ha approvato il Digital Services Act (Dsa), una normativa che ha l’obiettivo di limitare la discrezionalità delle grandi piattaforme proprio sulla moderazione on line. Tutti i grandi player dovranno adeguarsi entro gennaio 2024. E, se non lo faranno, rischieranno sanzioni elevatissime.

Sarà sufficiente? No, se non seguiranno informazione e formazione su questi temi da parte di tutti per alimentare quella consapevolezza (anche nella politica a livello non solo europeo, ma internazionale) che è indispensabile per arginare una volta per tutte questo pericoloso strapotere che mette sistematicamente a rischio le nostre democrazie nell’indifferenza generale. Come diceva Truman: “Buongiorno democrazia, e se non dovessi rivederti: buon pomeriggio, buonasera e buonanotte”.

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