Il governo ci ripensa e ritira definitivamente l’emendamento sull’invio di armi all’Ucraina fino alla fine del 2023 inizialmente inserito nel decreto sulla partecipazione alle missioni Nato e sulle misure per il servizio sanitario in Calabria. La decisione arriva dopo la rivolta delle opposizioni che fin dalla serata di lunedì avevano accusato la maggioranza che sostiene l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni di aver attuato un “colpo di mano” esautorando di fatto il Parlamento. Ciò che veniva contestato era appunto il fatto che l’emendamento sia stato inserito nel voto su un decreto che niente ha a che vedere col sostegno a Kiev e che, così, accelerava i tempi della decisione senza avviare un vero dibattito in Parlamento, come chiesto da mesi da diverse fazioni politiche, Movimento 5 Stelle in testa. Da quanto si apprende, il rinnovo del sostegno militare a Kiev sarà quindi discusso con un decreto ad hoc.
Proprio i pentastellati sono tra coloro che sono intervenuti in maniera più dura sul dibattito, scagliandosi contro la maggioranza che sostiene l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. “Il governo Meloni deve venire qui in Aula a spiegare che cosa vuole fare. Noi siamo contrari” all’invio di nuove armi “e chiediamo un voto delle Camere perché ognuno si possa assumere le responsabilità davanti ai cittadini – ha attaccato il deputato M5s, Marco Pellegrini, intervenendo alla Camera nel corso della discussione generale – Noi riteniamo deleteria la strategia dell’Occidente fondata sull’escalation militare. Spiace constatare che esiste una profonda continuità tra le scelte dell’ex presidente Draghi e l’attuale presidente Meloni. Noi auspichiamo un’inversione di tendenza specie per quanto riguarda l’invio delle armi”. La continuità col governo Draghi è un punto che i Cinquestelle hanno sottolineato in virtù delle critiche avanzate all’ex presidente del Consiglio, colpevole, a loro dire, di aver agito sul dossier ucraina a colpi di decreti legge, evitando di presentarsi in Parlamento per ascoltare le posizioni critiche all’interno dell’Aula. “Non è più ammissibile – sottolinea infatti Pellegrini – l’esautoramento del Parlamento sulle decisioni che riguardano la guerra e quindi la sicurezza nazionale. Abbiamo fatto bene, ma in quella risoluzione era previsto che gli sforzi del governo italiano fossero indirizzati verso una de-escalation. È assurdo che l’unico voto risalga a tanti mesi fa, al primo marzo. Il contesto attuale è profondamente cambiato. Vogliamo che il Parlamento torni centrale in queste scelte. Dopo cinque decreti sull’invio di armi, è imprescindibile un confronto in Parlamento tra le varie forze”.
Dure anche le dichiarazioni che provengono dall’Alleanza Verdi/Sinistra Italiana, con la capogruppo alla Camera Luana Zanella che ha ribadito la posizione contraria della formazione a un nuovo invio di armi a sostegno dell’esercito ucraino: “Noi di Alleanza Verdi-Sinistra chiediamo al governo Meloni di cambiare strategia e approccio nel necessario sostegno all’Ucraina. Chiediamo di interrompere la fornitura di armi, concentrando le stesse risorse sull’assistenza umanitaria e sulle attività dei Corpi civili di pace, riconoscendone pienamente il valore di prevenzione e trasformazione dei conflitti, nella difesa non armata e non-violenta alternativa all’uso della forza. Chiediamo la convocazione di una conferenza multilaterale per la pace e la sicurezza guidata dalle Nazioni Unite e vogliamo che il governo dia al Parlamento ogni elemento utile circa la natura e la quantità di equipaggiamento militare fin qui fornito all’Ucraina”. La deputata denunciava inoltre una mancanza di trasparenza da parte della Difesa riguardo al materiale inviato che, secondo un calcolo di Mil€x, si attesterebbe al momento sui 450 milioni di euro: “Anche alla luce di ciò, è necessaria la massima trasparenza circa la natura e la quantità del materiale fornito, non esistono soluzioni militari. Lo stesso Capo di Stato Maggiore Usa, Mark Milley, ha detto che esiste ‘una bassa probabilità che l’Ucraina possa costringere militarmente la Russia a lasciare tutto il territorio ucraino che occupa’ e osserva che in tale contesto non è immaginabile nessuna soluzione militare al conflitto”. Anche il Pd, infine, aveva chiesto che “il governo ritiri l’emendamento” che “poco c’entra su una questione che non può e non deve essere regolata attraverso un decreto che nulla ha a che fare con la vicenda ucraina. È un tema troppo importante perché si possa legiferare attraverso decreti”, dice il capogruppo Pd in commissione Difesa Stefano Graziano.
Alle proteste che vanno avanti dalla serata di lunedì aveva risposto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, secondo cui “sull’invio delle armi all’Ucraina c’è già una decisione del Parlamento, ulteriori decisioni verranno prese dal Parlamento, i partiti di maggioranza presenteranno un testo unitario a dimostrazione che c’è un governo e una maggioranza che sostiene i diritti dell’Ucraina. Giustizia significa l’indipendenza del territorio ucraino“. Parole che, però, non rispondevano alle richieste delle opposizioni: è vero che l’iter prevede un’approvazione del Parlamento, ma inserire l’emendamento all’interno di un decreto che tratta tutt’altra materia e che è considerato necessario, senza una reale discussione e presentazione della proposta sul sostegno all’Ucraina da parte del governo, indeboliva fino quasi ad annullare l’azione parlamentare. Mentre il ministro della Difesa, Guido Crosetto, affermava che “il governo non ha una ‘linea guerrafondaia’, non si nasconde dal dibattito sull’Ucraina ed è pronto, come ha sempre affermato, a un serio, rispettoso e franco confronto parlamentare. Confronto che in parte avverrà già domani, durante la discussione sulla mozione del M5s e su quelle che saranno presentate dagli altri gruppi parlamentari. Ma la discussione sul tema dell’Ucraina e sugli impegni internazionali dell’Italia verso quel Paese avrà un ulteriore momento specifico e dedicato, come fu fatto mesi fa dal governo Draghi e come prevede l’emendamento stesso in questione. Venendo all’emendamento, non è altro che il prolungamento dell’autorizzazione che il presidente Conte e il suo partito hanno già votato più volte mesi fa”.