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Il Giardino Artiglieri di Montagna

A fianco del Palazzo di Giustizia c’è una bell’area verde: il Giardino Artiglieri di Montagna. O per meglio dire: ci sarà ancora per poco. Dietro il giardino c’era e ci sono ancora le vestigia della Westinghouse, fabbrica che realizzava freni e pezzi di ricambio per vagoni e motrici, nell’epoca d’oro della Torino industriale. La vicenda che ci occupa comincia nel 2002 quando l’archistar Mario Bellini vinse un concorso internazionale indetto dal Comune di Torino per la realizzazione di un faraonico complesso architettonico in questa area. Doveva esserci una biblioteca, la più grande d’Europa, un centro culturale e un teatro. Costo, solo del progetto, 16,5 milioni di euro.

Poi arrivarono la stretta di Tremonti sui Comuni, l’indebitamento per le Olimpiadi ma anche l’indebitamento con i derivati, fatto sta che il sindaco Chiamparino decise nel 2011 di abbandonare il progetto perché troppo costoso, optando per un semplice centro congressi nell’area. Arrivò Fassino che, per ripianare una parte dei debiti accumulati dal Comune, ebbe la pensata di vendere non solo quell’area ma anche una di fronte, comprensiva di una porzione dell’antica caserma Lamarmora e antistante area verde, appunto quei Giardini Artiglieri di Montagna di cui sopra. L’appalto – che prevedeva non solo il predetto centro congressi ma anche (per rendere appetibile la gara) uno spazio per la grande distribuzione organizzata e relativo parcheggio – fu vinto nel 2013 dalla Amteco&Maiora, longa manus di quella Esselunga che subentrò nel 2015.

Non un grande affare per il Comune: nelle casse comunali entrarono 19,7 milioni di euro, dopo che il Comune ne aveva già spesi 16,5 per pagare la parcella di Bellini. Appendice: Fassino è imputato in un processo per turbativa d’asta in merito a quell’appalto. Ma oramai il destino dell’area verde pare segnato. Giù gli alberi, su il supermercato targato Lega. Contro l’operazione si batte il comitato EsseNon.

L’istituto Buon Pastore

Penultima vicenda quella del Buon Pastore. Sempre nel cuore di Torino, in Corso Principe Eugenio, c’è una vasta area: 3470 mq occupati da edifici fatiscenti ed oltre 6000 mq di area verde, rinaturalizzatasi negli anni, da quando i vialetti non sono più percorsi da quelle fanciulle traviate o povere del cui inserimento sociale si occupava appunto il soggetto proprietario dell’area, l’Istituto del Buon Pastore (dopo il secondo dopoguerra anche “Opera Pia Buon Pastore”). L’ente fu sciolto nel 2016 e l’area passò prima in proprietà della Regione, poi del Comune. Che, tanto per cambiare, decise di alienarlo con Deliberazione del Consiglio Comunale 23 novembre 2020. A tale atto ne seguì un altro (dovuto) in data 15 febbraio 2021 con cui il Comune indiceva la relativa asta per il valore di euro 1.220.000 per la costituzione di diritto di superficie novantanovennale sull’immobile. Un prezzo irrisorio, ma ipoteticamente congruo se restasse la destinazione ad uso pubblico dei fabbricati.

Il bando prevedeva che l’aggiudicatario presentasse un progetto volto a evidenziare “il pregnante interesse pubblico degli interventi che l’aggiudicatario intende attuare, nonché l’idoneità ad arrecare un concreto vantaggio per la collettività”. L’asta andava deserta. In compenso, subito dopo, il 4 maggio 2021, ecco che la Cogefa s.p.a. – impresa di costruzioni interessata anche alla realizzazione di grandi opere, ivi comprese le linee AV – si offriva di acquisire il diritto di superficie per detto importo e presentava istanza di deroga per trasformare l’originaria destinazione d’uso prevista dal PRGC a “servizi sociali” in “terziario”, per trasferirvi la propria sede direzionale.

La nuova giunta Pd accoglieva l’istanza con la delibera del 21 giugno 2022 (approvata all’unanimità del Consiglio in data 4 luglio), che così recita: “L’approvazione del progetto è consentita in deroga agli strumenti urbanistici… in quanto l’intervento proposto persegue i fini della riqualificazione e razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e riveste concreto e specifico interesse pubblico, perseguendo finalità di stimolo e sostegno alle attività economiche”. Dove stia il “concreto e specifico interesse pubblico” è presto detto: nell’eliminazione del bosco urbano cresciuto nei decenni per crearvi un giardino aperto al pubblico. Infatti la delibera prevede proprio questo, che venga realizzata tutta una serie di opere per addomesticare l’area verde. Ma anche qui non è dato capire il vantaggio che ne trarrebbe la cittadinanza, che vede scomparire un bosco – che potrebbe comunque essere reso fruibile – per far posto ad un ennesimo artificio vivaistico. Più chiaro appare l’affare fatto dal privato. Mentre scrivo, il cantiere è state aperto, e ormai residuano poche speranze di salvare il bosco in città.

L’ex galoppatoio

Ultima novità in ordine di tempo, la volontà della giunta Pd di intervenire sulla vasta area dell’ex Galoppatoio del Meisino (alla confluenza tra i fiumi Po e Stura di Lanzo) per creare una città dello sport, dove praticare ciclocross, mountain bike, pump track, skiroll, biathlon, nordic ski (pista sintetica), arrampicata sportiva (lead e boulder), cricket e fitwalking cross. Tralasciando il discorso relativo all’opportunità di creare percorsi per discipline che percorsi in Torino hanno già, oppure palestre di arrampicata sportiva anch’esse già esistenti, val la pena sottolineare che l’area interessata doveva già essere privatizzata dalla giunta Fassino, e che comunque esistono vincoli ambientali difficilmente superabili, visto che l’area è parco regionale ed è classificata come Zps ai sensi della Direttiva Uccelli e fa parte della Rete Natura 2000. Anche se, si sa, siamo in Italia e i vincoli sono fatti per essere bypassati.

Anche qui, sarebbe troppo semplice dare alla cittadinanza l’opportunità di conoscere meglio questa vasta area seminaturale, creando un percorso didattico, per far crescere la sensibilità verso la natura: percorso che costerebbe decisamente di meno degli 11 e passa milioni (!) che verrebbero riversati nel progetto attuale. Meglio creare un divertimentificio, ovviamente gestito da privati. Sul tema è partita una petizione su Change.org.

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