Al Torino Film Festival anche War Pony opera prima delle registe e sceneggiatrici Riley Keough e Gina Gemmell, Tra i produttori esecutivi c’è il nostro Jonas Carpignano
Gli addetti ai lavori l’avevano accostato a David Lynch, ma dopo aver visto Manticora, Fuori Concorso al 40esimo Torino Film Festival, il cinema dello spagnolo Carlos Vermut ha molti più punti in comune con quello di Michael Haneke. L’inquietudine morale che prorompe delle immagini di Manticora proviene da un senso di ansia interiore e catatonia esteriore che prova il giovane Julian (Nacho Sanchez versione occhioni da Frodo), creatore di mostri virtuali in 3D per videogame, solitario e silenzioso abitante di un appartamento in un barrio madrileno che sembra quasi metafisico. Il lavoro sta andando a gonfie vele ma un principio d’incendio nell’appartamento dei vicini trova Julian pronto a sfondare la porta oltre la quale vive da solo quasi tutto il giorno il figliolo della vicina, suonatore di pianoforte prodigioso. Il salvataggio crea come una fenditura sotterranea nell’animo profondo di Julian che deve ricorrere al pronto soccorso e agli ansiolitici. L’apparizione in un locale di Diana (Zoe Stein), una bella ragazza – peraltro vagamente somigliante al ragazzino salvato – amica di suoi colleghi d’ufficio, il costante e timido avvicinamento di entrambi, sembrano infine poter sciogliere il dolore sordo che prova Julian fino a quando diventa Diana colei che sembra più bisognosa di vicinanza per i problemi in famiglia che sta attraversando. Anche se uno strabiliante, graduale twist negli ultimi 40 minuti di film farà riatterrare Julian nel più tragico, buio, traumatico esilio sociale che pensava di non dover più affrontare.
Vermut svuota di volumi e di suoni reali l’intero film, come svuota suppellettili d’interni e spazio urbano esterno che vivono i due protagonisti, lasciando allo spettatore una sensazione in sottofondo ovattata, tenue, dolce e sinistra. Più volte fa discutere Julian e Diana sul senso della superficialità dell’estetica horror, evocando l’emozione per un turbamento interiore non esibito piuttosto che l’esibizione tout court della violenza. E ci porta dritti ad una citazione che arriva a fondo film e che riguarda una storia fittizia di un uomo che torna dopo un lungo viaggio e trova una porta dove prima non c’era, ma che i suoi familiari giurano ci sia sempre stata. L’ossessione vissuta da Julian, oltretutto, si inarca e innerva simbolicamente dentro alla dimensione creatrice immaginaria dei mostri per videogame (la manticora è una creatura persiana con testa d’uomo, corpo di leone e coda scorpione) ma paga dazio alla libertà intellettuale ed economica dell’ingegno, finendo sul terreno di una sguardo registico vagamente e moralmente punitivo che lascia di stucco. Non c’è momento di Manticora che non sia studiato nei minimi dettagli di messa in scena, nei più infinitesimali e lenti movimenti dei due attori compresa la prima scena erotica tra i due, Julian che toglie una scheggia da un piede nudo di Diana, o anche solo il pulirsi di sfuggita una mano dall’unto di un panino appena mangiato. Speriamo che questa perturbante delizia cinematografica arrivi in sala anche in Italia.