Le misure per la previdenza approvate dal governo sono “molto limitate, largamente insufficienti e, in alcuni casi, addirittura peggiorative rispetto al quadro normativo vigente”. Il saldo delle risorse previsto per il “capitolo pensioni mostra che nel 2023, a fronte di 726,4 milioni di euro che finanziano i diversi interventi (Quota 103, Opzione donna, Ape sociale e altro), “si sottraggono al sistema ben 3,7 miliardi di euro tra taglio della rivalutazione delle pensioni in essere (-3,5 miliardi solo nel 2023) e abrogazione del fondo per l’uscita anticipata nelle PMI in crisi (-200 milioni)”. Se si considera il triennio, “le mancate rivalutazioni ammonteranno a 17 miliardi”. Sono i calcoli della Cgil, che secondo il segretario confederale Christian Ferrari dimostrano come “non vengono affrontate in alcun modo le criticità presenti nel nostro sistema pensionistico, e men che meno si prefigurano le condizioni per una riforma complessiva del nostro impianto previdenziale. Nessun superamento della legge Fornero, dunque, e nemmeno la possibilità di accedere al pensionamento con 41 anni di contribuzione. Gli slogan e le promesse elettorali, ancora una volta, si configurano come vera e propria pubblicità ingannevole“.
Con quota 103, che segue la quota 100 del governo Conte 1 e quota 102 del governo Draghi, “si procede spediti verso un ritorno alla legge Fornero “in purezza””. I lavoratori che nel 2023 usciranno realmente con Quota 103 saranno secondo il sindacato poco più di 11.300 a fronte della platea di 47mila con i requisiti (62 anni di età e 41 di contributi) stimata dal governo. Questo perché 6.500 persone potranno decidere di proseguire l’attività lavorativa beneficiando della contribuzione, per la quota a carico del lavoratore, direttamente in busta paga. Quindi la platea scende a 40.499. Applicando lo stesso tasso di adesione registrato con Quota 100 (40% degli interessati) e considerando che molti decideranno di proseguire l’attività per motivi economici, “prevediamo una platea di 16.199 persone”. Inoltre, poiché è stato introdotto un tetto massimo di pagamento delle pensioni fino a 5 volte il trattamento minimo (pari a circa 36.643 euro lorde all’anno, 2.818 euro lorde al mese, che corrispondono a circa 2.200 euro nette al mese) che inciderà ulteriormente sulla scelta, “valutiamo nell’ordine del 30% (4.859) la platea delle persone che, pur in possesso dei requisiti di legge, decideranno di proseguire l’attività lavorativa”. Così si scende a un totale di 11.340 persone, il 27,5% di quelle stimate dal governo.
Quanto a Opzione donna, “la modifica – nonostante preveda il ricalcolo totalmente contributivo dell’assegno (e costituisca, quindi, solo un anticipo di cassa senza alcun costo aggiuntivo per il bilancio previdenziale) – è oggetto di un intervento così radicale da determinare, attraverso lo svuotamento della platea, un’abrogazione di fatto dell’istituto”. Anche se il sottosegretario del Lavoro e delle Politiche sociali Claudio Durigon ha fatto sapere che “si sta lavorando alacremente con il Mef per capire quale possa essere la soluzione più adeguata da mettere in campo”.
Ferrari aggiunge che “non si rispetta nemmeno la “regola” annunciata dal ministro Giorgetti, per cui gli interventi nei diversi settori si dovrebbero finanziare all’interno di quegli stessi settori. Anzi, sulla previdenza succede esattamente l’opposto: si fa cassa sulle spalle di lavoratori e pensionati per tagliare le tasse a professionisti da 85.000 euro annui”.